Mariano Rigillo e Claudio di Palma in Uscita d’Emergenza – Teatro San Ferdinando – uno spettacolo che indaga il “bradisismo” interno
Lo spettacolo “Uscita d’emergenza”, una produzione del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, apre la stagione teatrale 2017/2018 del Teatro San Ferdinando. Dal testo di Manlio Santanelli, la rappresentazione affronta molteplici temi in una “sola stanza”, ovvero lo spazio entro il quale si muove l’intero spettacolo. Per la regia di Claudio Di Palma, assistente alla regia Lucia Rocco, con Mariano Rigillo e Claudio Di Palma, “Uscita d’Emergenza” racconta la vicenda personale di Cirillo e Pacebbene, ex suggeritore di teatro l’uno, ex sacrestano l’altro, attraverso un diverbio inesauribile, talvolta affettuoso, talaltra cattivo, dispettoso tra i due protagonisti.
La rappresentazione è scandita da alcune scosse di terremoto, difatti la storia è ambientata in un quartiere di Napoli, completamente disabitato, se non da alcuni gatti randagi, perché colpito da terremoto e soggetto ancora a bradisismo. La stanza nella quale si muovono i due personaggi è abitata quasi interamente da un’ampia lastra (utilizzata come tavolo, camera da letto, luogo sul quale mettersi in salvo dal bradisismo) che sembra essere caduta sul “corpo di Napoli” rappresentato da antiche sculture ed arte millenaria.
Cirillo e Pacebbene sono chiusi in casa, l’unico spiraglio di “uscita”, che sia una salvezza o una minaccia, è dato dalle scosse che rischiano di creare crepe sui muri. Ecco che il bradisismo esterno risulta essere una metafora di un bradisismo interno: in un gioco spesso morboso tra i due, che manifesta le dinamiche della frustrazione e dell’insoddisfazione nel quotidiano, si hanno sensazioni di rimando a temi quali la pedofilia, la gelosia dell’uno nei confronti dell’altro come una sorta di amore inconscio e mai dichiarato che lega un uomo all’altro, la solitudine, il bisogno di attenzioni, l’incomunicabilità, la precarietà della vita, infine la morte.
Così come sono “chiusi dentro” casa, i due personaggi sono “chiusi dentro” se stessi, la “prigione” fatta di muri di cemento risulta essere una “prigione” dell’anima: i protagonisti spesso si appellano l’un l’altro con la parola “ricchione”, termine usato ancora comunemente con valenza dispregiativa nei confronti dell’amore tra due uomini (si spera in una scelta non superficiale di tale termine bensì funzionale al racconto N.d.R.) probabilmente poiché seppure Pacebbene fosse innamorato di Cirillo non riuscirebbe a vivere serenamente i suoi sentimenti, forse anche in virtù del suo passato da ex sacrestano e dai racconti di sessualità repressa che si spiegano man mano durante la trama, spesso costruita da eccellenti monologhi e dialoghi tra i due personaggi che hanno vissuto (con successo) del magnetismo dei due attori Rigillo e Di Palma e della loro complicità artistica. Le scosse di terremoto che minacciano la casa forse sono in realtà metafora di scosse intime, sussulti con i quali la volontà di vita, di libertà, di uscire dai limiti interiori, di abbattere le resistenze, di far crollare i muri, si fa sentire di tanto in tanto. Ad ogni modo occorre un’uscita d’emergenza, che alla fine sarà valicata oppure no?
[di Flavia Tartaglia]