L’Institute of Race Relation di Londra è un osservatorio critico e militante sul razzismo in Europa, che è stato oggetto di speculazioni, intrusioni e altrettante trasformazioni nel corso della storia
L’Institute of Race Relation di Londra è un osservatorio sul razzismo in Europa. Quando è stato fondato, nel 1958, il contesto internazionale era molto diverso. Ci trovavamo, difatti, nel bel mezzo della decolonizzazione dei paesi oppressi e nel pieno della guerra fredda; da questo punto di vista anche la discussione e la ricerca intorno ai rapporti razziali veniva utilizzata dai paesi, ex oppressori, per ripulirsi la faccia nei confronti delle ex colonie con le quale continuare a stabilire legami economici per investimenti di vario genere e al contempo mettere in piedi un ostacolo sul percorso di crescita di quel “mostro rosso” rappresentato dal comunismo, un sistema economico e sociale all’interno del quale determinati diritti erano garantiti sin dal 1917. Per i comunisti la grande differenza rispetto ad americani e occidentali la questione era letta da un punto di vista alternativo, da una prospettiva di classe, conta ciò che fai all’interno della società non quale sia il tuo colore della pelle. La fondazione dell’istituto ebbe, quindi, anche l’obiettivo di contrastare questa tesi che tanto accreditava i comunisti in lungo e largo per il mondo, laddove si discuteva di razzismo, razza e oppressione razziale, cercando di affermare che il problema della razza non fosse minimamente collegato e collegabile con quello della classe.
Queste, quantomeno, erano le intenzioni di chi redasse il documento di presentazione dell’Istituto. Non va considerato un caso, però, che tra gli estensori di quel documento c’erano ex membri dell’Indian Civil Service, (l’apparato amministrativo dell’impero britannico in India) e di tanti imprenditori che avevano fatto affari nelle colonie. Tutti questi soggetti, quindi, avevano dovuto abbandonare il linguaggio, il metodo e l’oppressione dei “neri” per lavarsi di dosso l’infamia che il regime nazifascista (teorizzante la purezza “bianca”) aveva gettato su tutto l’occidente. Si cercava di nascondere in sostanza il fatto che quella di razza fosse una forma di oppressione secondaria legata alla principale che è oppressione di classe; non è un caso che già all’epoca il re del più sparuto stato africano se portatore di beni, risorse e doti di vario genere, fosse ricevuto in Europa e in America tra i più grandi onori e felicitazioni.
Questi signori cercavano di rinfrancarsi riducendo il razzismo a un sistema di pensiero irrazionale che rappresentava un pericolo per democrazia. Finiva per essere così cancellata la sua essenza concreta, il suo rappresentare uno strumento di subordinazione e sfruttamento totalmente integrato al capitalismo. Solo a partire dagli anni settanta, una nuova generazione di studiosi dell’Istituto hanno riportato la discussione sul suo terreno reale. Le lotte di liberazione dei paesi oppressi ed ex coloniali, il sommovimento in paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti hanno dimostrato il legame forte e concreto che esiste tra razza e classe. Questo lo sviluppo dato a questi studi e l’opera di analisi svolta dallo studio. Ci si poteva concedere di andare contro corrente, all’epoca, proprio grazie al peso specifico che in quegli anni il “mostro rosso” aveva.
Bisogna quindi interrogarsi e porre all’ordine del giorno una riflessione intorno a quello che veniva presentato in occidente come un mostro, ma che per la storia dell’uomo ha voluto dire avanzamento sul piano della civiltà, uguaglianza e progresso. Probabilmente analizzandola così, l’oggi ci sembrerà molto diverso e molto più degradato di come dovrebbe essere e magari pensare che quelle cose scritte a firma di Marx, Lenin, Mao Zedong vadano riprese e fatte vivere nuovamente in tutto il mondo.
[di Marco Coppola]