Approfondimento su Anna Bocchino, poliedrica e talentuosa artista napoletana, attrice
«Il teatro? Il teatro è una malattia!», afferma con viscerale amore Anna Bocchino, e come direbbe Troisi “No no, che rimedio?! io voglio stare malato!”; proprio come “il comico dei sentimenti”, Anna Bocchino è un’artista napoletana, attrice.
IL CASO NON ESISTE
Il suo viaggio verso quest’antica ed eterna arte inizia per caso, racconta, ma si sa, il caso non esiste: «Dopo il diploma di maturità classica mi iscrissi alla facoltà di architettura, poi un giorno degli amici invitarono me e mia sorella ad un laboratorio teatrale, l’Asylum Anteatro, una realtà appena nata, “Venite a farvi un giro, vi piacerà!”, ci dissero. So solo che dal momento in cui entrai non volli più uscirne! Mi sentivo a casa, mi divertivo, mi sentivo me stessa, libera, una libertà che al contempo fa paura perché non dà sicurezza, tutte queste cose però mi facevano sentire viva, mi piacevano! All’epoca la mia priorità era completare il mio percorso universitario, contemporaneamente però iniziai a frequentare il triennio all’Asylum, in fondo sapevo di essere attratta da questa realtà ma non avevo ancora capito quanto, passo dopo passo divenne quella la mia priorità: il teatro! Quando consapevolmente in me iniziai a dare spazio al teatro ricordai di quanto non fosse stata una scoperta ma una riscoperta, qualcosa che aveva fatto un lungo giro per poi ritornare da me al momento giusto: alle elementari impazzivo per la recitazione, avevo un’insegnante che è stata folgorante in questo senso, ci faceva sperimentare di tutto, commedie ben più impegnative dei tipici spettacoli nei quali ci si cimenta alle scuole elementari, ricordo la mia voglia inesauribile di fare teatro e un tema nel quale scrissi che da grande avrei voluto fare l’attrice!».
Al fatidico laboratorio Asylum Anteatro, Anna incontra i suoi primi ed importanti maestri, Caterina Leone, Massimo Maraviglia, Ettore Nigro (con il quale lavora tutt’oggi), con questo primo rilevante bagaglio inizia ad esplorare l’irresistibile mondo del teatro «Maturai il bisogno di incanalarmi in un percorso più definito, tenni i provini per entrare all’Accademia teatrale di Milano, arrivai alla terza fase alla Filodrammatici, poi a Roma, a Genova e a Napoli, quest’ultimo è stato il provino più bello, mi colpì che Luca De Filippo lesse con attenzione la lettera di motivazioni, si soffermò su un punto in particolare dove scrissi all’incirca che ciò che mi interessava del teatro è quel momento di sospensione nel quale, in scena, sembra di essere da soli con il pubblico, in un’altra dimensione, in totale connessione con se stessi, il tempo, la realtà e quello che sta succedendo, e che attraverso il teatro mi sarebbe piaciuto ricercare e trovare quell’attimo». La passione per questo momento vale tutt’oggi, insieme ad un altro elemento del teatro che Anna trova decisamente interessante: la ricerca, il dialogo con il regista, i compagni di scena, la fase di sperimentazione in cui è possibile dare libero sfogo alla creatività, fare anche cose che magari non si porteranno in scena ma che comunque arricchiscono e le si custodisce dentro.
I SEGNI DELL’ESPERIENZA ARTISTICA DENTRO E SUL CORPO
«Il primo spettacolo che ho fatto mi ha segnato molto – racconta Anna – “Taranterra” di M.Grasso, regia M. Maraviglia, è stato particolare, ero parte di un coro che interagiva con l’attore monologante con immagini, coreografie, ma non era danza bensì un coro simbolico, oltretutto ricordava un coro greco, la rappresentazione ha avuto un grosso riscontro, un grosso successo e ha viaggiato per tutta l’estate soprattutto in piazze, strade, luoghi particolari».
Diplomata nel 2018 presso l’Accademia del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Anna ha dato vita a poliedrici personaggi, anzi, ha lasciato che loro la abitassero «Dopo un primo approccio più tecnico al testo, dove ho bisogno di analizzare, capire, poi evito di fare cose puramente estetiche, non vado a cercare il personaggio, pian piano faccio in modo che il personaggio mi appaia, come se dapprima fosse un’immagine sfocata che lentamente avanza e focalizzo, ed inizio a levigare. Ma è un processo che in me avviene lentamente, a volte mi capita tardi, raramente durante le prove, spesso direttamente in scena, l’effetto palcoscenico, le luci, il pubblico mi stimolano particolarmente». Proprio come capita nelle connessioni profonde fatte di influenza reciproca, Anna porta in sé, con sé e su di sé i segni di ciascuna esperienza artistica, di ciascun personaggio lasciato libero di “invasarla”.
È difatti proprio il corpo il suo Archè, Anna si definisce fisica, ama in particolar modo i lavori che presuppongono il coinvolgimento del corpo, le energie che caricano e scaricano il corpo, il movimento tangibile, racconta «Una grande impronta in me l’ha lasciata Michele Monetta, nel cui lavoro ho ritrovato un po’ di architettura: l’attore nello spazio, quanto solo un corpo possa raccontare nello spazio, quanto un minimo movimento di un arto possa significare, determinare una sensazione. Con Mirella Bordoni ho avuto modo di sperimentare per un periodo, che mi ha lasciato il segno, il metodo Costa, basato sulla mimesi. Poi con Piccardi, Salveti, Greco e Sinagra ho avuto le basi fondamentali per la recitazione e il canto. Proprio per quanto riguarda la messa in gioco del corpo, un personaggio nel quale mi sono rispecchiata molto è stata un’infermiera, dovevo essere violenta ma delicata, non mi si vedeva perché avevo una maschera fissa ma lavoravo col corpo, un corpo pesante, un po’ mostro prima della redenzione finale, un finale di cui avevo l’intera responsabilità e per il quale dovevo ritrovare una voce che non deludesse le aspettative poiché per quasi l’intero spettacolo ero muta e parlavo col corpo. Mentre ho vissuto l’esperienza contraria con Artemis, una ragazza greca, un personaggio delicato, una figura femminile eterea, molto ferma fisicamente, la cui messa in scena non presupponeva molte azioni, ma solo presenza, sguardo, stare in ascolto. Per gran parte dello spettacolo non usavo la parola per poi trovarla dopo ricercando una prosodia straniera che ricordasse la Grecia, con lei ho ricercato la giusta misura tra ciò che mi appartiene e ciò che è lontano da me: ho trovato forza nella staticità».
L’ESPLORAZIONE E LE SCOPERTE, TRA COMICITA’, CONTRADDIZIONE E CLASSICO
Difatti ciò che rende stimolante l’arte della recitazione, per attori e spettatori, non è l’essere in contatto solo con se stessi, o meglio: con ciò che si conosce di se stessi, bensì esplorare ed in fine magari disancorare punti di sé mai venuti a galla, «Quello che mi interessa del teatro è soprattutto avere la possibilità di conoscere realtà interiori che magari non sai di avere ma che esistono nel tuo immaginario, quindi dar vita a quei pezzi di te che, grazie alla “scusa del vestire altri panni”, diventano di tutti», racconta Anna. “In scena si guarisce – diceva Giuffrè – E poi sapete che vi dico: gli attori vivono più a lungo, perché vivendo anche le vite degli altri, le aggiungono alle loro”.
Ecco allora una delle scoperte personali più importanti per l’attrice partenopea: la sua vena di comicità, la particolare ironia che la contraddistingue ma che raramente ha trovato il desiderato spazio di espressione a teatro, «Mi piacerebbe dar vita ad un personaggio che rimane, come quelli di Anna Marchesini, che amo – racconta – mi piacerebbe essere lei in qualche modo! Mi piace scrivere anche se per ora non ho approfondito più di tanto questa passione se non in alcune occasioni, per alcuni spettacoli, ecco: vorrei un giorno scrivere, o collaborare con qualcuno nella stesura di un testo che vada in quella direzione, che mi permetta di dare sfogo ad un’ironia che sento di avere. Mi è capitato di approfondire una certa comicità in “Amore non buttarti giù”, una brillante commedia con la regia di Lucio Allocca, liberamente ispirata al testo di Schisgal “Luv”. Conobbi Lucio in occasione di “Specchio Rotto”, il primo progetto ex allievi del Teatro Stabile, una delle prime esperienze belle e coraggiose, io e mia sorella Clara collaborammo alla scrittura del testo di Sharon Amato, e lui ne fruì da spettatore. Quando si manifestò il bisogno di sostituire Loretta Palo in “Amore non buttarti giù”, Lucio si ricordò di me e mi propose il ruolo, non avevo ancora finito l’Accademia, accettai, fu un azzardo a due settimane dal debutto, ma è stata un’esperienza bellissima. Insieme ad Ettore Nigro e Rosario D’Angelo interpretai così Ellen, uno dei tre personaggi in scena, appunto due uomini e una donna, tutti e tre personaggi principali, simpaticissimi e nevrotici, con lei ho potuto esplorare e dare sfogo alla mia vena di comicità».
Ma nell’arte della recitazione le sfide da affrontare sono tante e il filo tra persona e personaggio, tra realtà e finzione è pieno di possibilità: vincere le resistenze del mettersi a nudo quando si interpreta un personaggio molto simile alla persona che si è, oppure accettare lati di sé sconosciuti ma scoperti attraverso l’immedesimazione nell’altro da sé, oppure riuscire a fare propri dei “tipi umani” lontani dal proprio modo di essere e nonostante questo renderli veri alla sensibilità di chi guarda. «Lo spettacolo “Fat Pig” con Alfonso Postiglione subito dopo il diploma è stato un momento cruciale – continua Anna – un po’ per l’ansia, il periodo delle prime riflessioni sul futuro dopo il conforto di una scuola, un po’ perché il ruolo da interpretare lo trovavo inizialmente molto lontano da me. Jenny, una ragazza avvenente, molto femminile nel senso di isterico, look eccentrico, unghie lunghe, insomma, per tanti versi il mio opposto, sono però riuscita a “trovarla”, a non odiarla! Molto lontano da me, per motivi simili al personaggio di Jenny, è stato anche il ruolo interpretato, insieme a mia sorella gemella, in “La parrucchiera”, film diretto da Stefano Incerti».
Presenza femminile, voce delicata, inconfondibile, personalità carica di luce, eleganza, purezza, disciplina, energia, determinazione, Anna nel suo percorso teatrale si avvicina a personaggi leggendari: grazie a i “Dialoghi con Leucò” con Wanda Marasco ha potuto sondare il personaggio della maga Circe, donna forte, carica, contraddittoria, dalle mille sfaccettature, interessante, «Inizialmente pensai fosse molto lontana da me, ma in realtà… non così tanto!», scherza Anna, si dichiara sempre interessata alla sperimentazione di un ruolo imponente, un grande classico come Medea, ad esempio, o di quella levatura.
I GRANDI DEL PASSATO E LA NOSTALGIA
Eppure dai grandi classici ad oggi c’è qualcosa che ha smesso di funzionare, tanto da riportare la mente all’antico quando si vuole cercare qualcosa di nuovo, tanto da usare l’espressione “d’altri tempi”, dove “d’altri tempi” sta a raccontare un momento, un’emozione sicuramente più originale, più pura, più onesta, geniale, immortale, il che non è reducismo bensì il conforto di sapere che certe cose sono esistite, che c’erano dei giganti e che oggi c’è bisogno non di arrivare a quella statura, ma almeno di non essere troppo più bassi. Se Anna dovesse interpretare il Dio del Teatro e come un Dioniso sui generis riportare in vita un grande: «Mi piacerebbe riavere di certo Anna Marchesini, Mariangela Melato, Marisa Fabbri, mi piacerebbe incontrare Euripide e sentirmi dire “Vuoi interpretare qualcosa con me, che dici?” – afferma con simpatia Anna – Moliere, oppure in ambito cinematografico Antonioni, Ettore Scola, avrei fatto mille volte il personaggio nel “Dramma della Gelosia” con Monica Vitti (che adoro!), Giannini e Mastroianni, farei rinascere Frida Kahlo per incontrarla, la amavo molto prima della “freedmania” dilagante, la Yourcenar. Se invece dovessi pensare a Napoli, ho seguito un laboratorio al Napoli Teatro Festival dedicato ai fondamenti dell’Arte Performativa del Teatro di Frontiera di Antonio Neiwiller, a cura di Loredana Putignani, ecco lui avrei voluto davvero incontrarlo! Avrei tanto voluto nascere nel periodo post-eduardiano, quel teatro che è nato nelle cantine e che è stato profetico per personalità come Martone, Servillo, Renzi (con il quale ho lavorato come assistente alla regia) … in quel periodo Napoli doveva essere bellissima!».
NAPOLI
Amante del fermento umano ed artistico partenopeo, tradizione alla quale è legata per origine e sensibilità, ma di cui al contempo esprime malessere per i difetti e le difficoltà, soprattutto quella di comunicare, di fare rete, e la sua simpatica incertezza con il dialetto napoletano affrontata durante gli anni di studio in Accademia grazie all’appoggio di Angela Pagano, Antonella Morea, Isa Danieli, Anna racconta il suo rapporto con un’altra peculiarità della tradizione napoletana nonché teatrale, la scaramanzia: «Beh, per forza bisogna fare “merda” prima di entrare in scena, poi ho dei “riti” tutti miei come ad esempio mi piace indossare il costume di scena almeno un’ora prima, ho bisogno di abitare un po’ i vestiti, oppure, un po’ per insicurezza, un po’ per scaramanzia, poco prima di entrare in scena ho bisogno di aprire un attimo il copione, anche se ho una memoria ferrea, sfogliarlo un attimo, anche solo simbolicamente, e metterlo a posto».
ATTRICE MA NON SOLO
Oltre al lavoro di attrice, Anna un po’ per caso si è cimentata anche nel ruolo di assistente alla regia, con Andrea Renzi, Giovanni Meola, oppure come regista assistente con Ettore Nigro «L’esperienza con Ettore mi ha permesso di metterci qualcosa di mio e di lavorare con Wanda Marasco, lei non andava in scena da vent’anni, è stato emozionante, ho preso molte cose da lei e ho scoperto ancora di più che la mia natura è quella di attrice, ma non escludo più in là di poter sviluppare un occhio esterno».
PROGETTI IN ATTO E PROGETTI FUTURI
Attualmente l’attrice partenopea è impegnata in svariati progetti, tra i quali: “Frantumi”, testo e regia di Tony Laudadio , un progetto di Unaltroteatro, compagnia teatrale under 35 riconosciuta dal Ministero, nata da un intuizione di Arturo Scognamiglio, di cui Anna è parte; lo spettacolo sarà ripreso dopo la recente partecipazione al Festival inDivenire. Unaltroteatro ha in programma di partecipare al Napoli Teatro Festival con alcuni progetti di cui uno con Wanda Marasco.
Anna sta partecipando a: “I Corti della Formica”, appuntamento napoletano; al “Festival ‘O Curt” di San Giorgio con un progetto indipendente “Sulle note dell’Inconscio” testo e regia di Filippo Stasi, l’intenzione è quella poi di farne un lungo, verso dicembre; ad “Amor Bohème”, «Un progetto tutto al femminile, promosso dall’associazione culturale FT Artemente, nelle mani di Antonia Cerullo per la regia –racconta Anna – In scena siamo due attrici, si tratta di una storia d’amore tra due donne, l’intenzione è quella di scardinare, con semplicità ed eleganza, gli schemi e i preconcetti che circondano la tematica LGBT+. La storia d’amore si dipana attraverso un messaggio sociale di critica e riflessione verso le abitudini a noi contemporanee in cui le relazioni si allontanano sempre di più dall’arte, dall’amore, dalla poesia. Si tratta di un progetto a lungo termine, l’intenzione è di portare la rappresentazione anche nelle scuole e creare dei confronti reali con gli studenti sulla sessualità, grazie alla collaborazione con la psicologa Anna Imparato che ci aiuterà a gestire i dibattiti post spettacolo».
Se, come diceva Goethe “Non c’è via più sicura per evadere dal mondo, che l’arte; ma non c’è legame più sicuro con esso che l’arte”, allora «Il teatro è coraggio – afferma Anna – non di mandare un messaggio o di imporre un’idea ma di dare degli stimoli, degli spunti, di prendersi un po’ del tempo altrui. È un momento sociale, un momento di condivisione, è il bisogno primordiale dell’uomo di fare gruppo e guardare qualcosa insieme, di esprimersi, di capire, di mettersi in gioco, di rischiare divertendosi, certo, ma anche mettendosi a nudo, di comunicare, di ascoltare mentre dall’altra parte qualcuno ha bisogno di dire. Il teatro è un’esigenza archetipica. Per chi lo fa e per chi ci va. Per me il teatro può anche essere inutile… ma è la cosa più vicina all’uomo!».
[di Flavia Tartaglia]
One Comment
rita felerico
un’ intervista condotta con inconsueta sensibilità per il desiderio di rimandare non un profilo di immagine, ma un incontro, il vero dialogo di una comunicazione di relazione, di riflessione . il tutto narrato senza tralasciare il percorso di formazione e di crescita professionale.
bello