Le Baccanti di Euripide, per la regia di Andrea De Rosa, fanno della tragedia greca un monito contemporaneo. “Il Dio è qui!”, ma non è ciò che ti aspetti
Dopo il successo di questa estate, torna a teatro “Le Baccanti” di Euripide per la regia di Andrea De Rosa. Ancora fino al 3 dicembre l’adattamento della tragedia greca è in scena al Teatro Mercadante di Napoli.
“Le Baccanti di Euripide – afferma Andrea De Rosa – è un testo che pone numerose sfide a chi lo voglia mettere in scena”, si tratta infatti dell’unica tragedia il cui protagonista è un Dio, “Come rappresentarlo? Che senso dare oggi alla presenza di un Dio sulla scena, in un mondo in cui l’orizzonte del sacro sembra perduto per sempre?”, questi e molti altri gli interrogativi ai quali il regista ha dato risposta.
De Rosa, come Euripide, il Dio lo porta a teatro (d’altronde Dioniso è il Dio del teatro, e del vino, del piacere fisico e mentale, secondo Nietzsche del “sì totale alla vita”. NdR.) ma le tracce che Dioniso lascia oggi si differenziano per molti aspetti: anzitutto il Dio di De Rosa (impersonato dall’attrice Federica Rosellini) sembra essere una rockstar ed è una donna, una donna “bella e dannata” dai capelli lunghi e dalla voce suadente, “Il Dio è qui!”, si ripete spesso durante la rappresentazione, però non è ciò che ti aspetti (forse nella nostra epoca è ora di intenderlo, e quindi trovarlo, in modo diverso? NdR.); ma questa “rottura degli schemi”, lo spirito di base, è anche ciò che accomuna le due rappresentazioni, Euripide amava sperimentare, amava sconvolgere il suo tempo e le sue storie, a differenza degli Dei di Eschilo e Sofocle, quelli di Euripide sono sorprendenti, sono il frutto di una disanima della psiche umana (meccanismo centrale di tutto il teatro euripideo), proprio come il Dioniso di De Rosa, anche se per altri aspetti.
“E’ un Dio difficile da afferrare, fragile e contraddittorio, insieme uomo e donna, debole e potente, creativo e distruttivo”, spiega il regista, è un Dio che, con l’intento di convincere la città di Tebe di essere un Dio e non un mortale, invita le donne di Tebe a baccheggiare sul monte Citerone, innesca in loro il germe della follia, vuole convertirle al suo culto per vendicarsi di sua zia Agave (ruolo di Cristina Donadio) e di suo cugino Penteo, re di Tebe (ruolo di Lino Musella), i quali avevano da sempre negato la sua natura divina, considerandolo un comune mortale. Alle donne di Tebe il Dio, che è “il Dio del due in uno“, offre vino, miele, latte, giovinezza, musica, danza, vita ma poi anche morte, violenza, ferocia. Nonostante questo, Penteo continua a negare il culto di Dioniso, invano Tiresia (indovino cieco, rappresentato da Marco Cavicchioli) e Cadmo (nonno di Penteo, ruolo di Ruggero Dondi), tentano di fargli riconoscere Dioniso come il figlio di Zeus, dunque un Dio.
Penteo preso dalla curiosità si traveste da baccante e si reca sul Citerone a spiare i riti di quelle donne. Attraverso lunghi e magistrali monologhi (recitati anche dai due messaggeri, interpretati dagli attori Matthieu Pastore e Emilio Vacca, e dal coro: Irene Petris, Carlotta Viscovo, Marialuisa Bosso, Francesca Fedeli, Serena Mazzei), si apprende della morte di Penteo, il quale viene fatto a pezzi dalla sua stessa madre che invasata dall’estasi divina non riconosce suo figlio, lo crede un leone, una preda da uccidere e di cui farsi vanto.
“Quanta violenza! Non poteva farlo da sola, era il Dio a darle la forza!”, vengono mescolati qui i temi della violenza e della religione, più che mai attuali, per il pubblico odierno questa non è solo la scena più famosa e atroce del teatro greco, diventa lo spunto per riflettere su un Dio assassino, o meglio: su un Dio che oggi l’uomo crede tale, come il Dio che crede l’Isis, il Dio usato come scusante dal terrorismo islamico. Ma la violenza non è di un Paese invece che di un altro, la violenza appartiene ad un “continente” sconosciuto che è l’animo umano, e l’arte, in questo caso il teatro, è un viaggio negli abissi della psiche, una discesa quasi dantesca negli “inferi” per esplorare le cose più turpi, compreso l’eros, che De Rosa ha raccontato “alla greca”: un eros libero, lussurioso, che il divino spinge ad esplorare e la religione non reprime.
Il “re politico” viene fatto a pezzi, le baccanti possono anche essere considerate “l’anti Stato”: l’animo umano non consente la costruzione della “città ideale” sperata da Platone, Euripide è contro questo tipo di politica, in Euripide vince la parte irrazionale dell’uomo, il “lato oscuro”, ma insegna anche la prudenza verso gli Dei, insegna a credere in loro ma al contempo a riflettere sulla sorte di Penteo, sulla degenerazione in fanatismo (nel caso di Dioniso il fanatismo equivale alla vendetta), un monito di grande attualità.
Nel corso di quasi tutta la rappresentazione non si perde mai il contatto con il frastuono, dato da un continuo di suoni, talvolta anche amplificati, e di luci da “concerto rock”. Alle parole di Penteo “Questo culto è una porcheria”, Tiresia risponde “Nelle tue parole non c’è scintilla! Bisogna ballare, altrimenti siamo perduti!”, probabilmente mettersi oggi sulle tracce di Dioniso, il “Dio della musica, della danza, del baccano”, significa lasciarsi possedere, senza mai perderne il contatto, dalla parte sana del delirio della follia, quindi non dalla parte sanguinaria di esso ma da quella dell’amore, dell’arte del piacere, d’altronde “Qual è il dono più bello che gli Dei concedono agli uomini?”.
“Le Baccanti”, dopo Napoli, proseguirà la tournée a Torino, presso il Teatro Carigliano, dal 5 al 17 dicembre.
[di Flavia Tartaglia]