Storia del sito archeologico di Oria, in provincia di Brindisi, che ha resistito a oltre due millenni di storia ma non alla prepotenza e speculazione di Curia e Comune
Grande indignazione quotidianamente emerge dai giornali ad ampia diffusione o di settore rispetto al modo in cui in Italia oggi vengono gestiti i siti del patrimonio artistico e archeologico, un patrimonio che non ha eguali nel mondo e che viene puntualmente offeso, vilipeso e annientato. Non bastano le condizioni in cui si trovano gli scavi di Pompei, la reggia di Caserta da cui sono emersi recenti sandali. Ci sono tante piccoli storie di pezzi d’antichità cui non è resa la giustizia della memoria, che vivono nell’oblio o che sono state neutralizzate dalla scelleratezza di un sistema politico economico che ha fatto il suo tempo. Tra queste: Oria, un centro incastonato nel Salento, in provincia di Brindisi, che ospitava un sito archeologico di enorme pregio storico composto da quindici tombe con corredo funebre risalente al IV e III secolo a.C. Il sito era di proprietà della Curia e si trovava nel cortile del palazzo dei missionari di San Vincenzo su colle Sant’Andrea, area sottoposta ai vincoli di una legge del 1998 che impedivano la costruzione di qualsiasi tipo di struttura per tutelarne il pregio storico e archeologico.
Quello che è avvenuto ha dell’incredibile. Sotto quegli scavi c’era la storia delle radici più profonde della comunità brindisina; lì giacevano rarissime tombe con camere e grotte in cui celebrare i riti religiosi dell’epoca. La Curia decise bene di costruire in quell’area un campo da calcio. Nella perizia scritta dalla Soprintendenza si denunciava esplicitamente la presenza di tale sito e tali beni. Nessuno si oppose, non una parola di più contro la costruzione dell’impianto che prevede anche un centro fitness e una palestra di pregio. L’offesa alla storia viene poi dal sindaco che ha appoggiato quest’opera promossa dalla Curia: «di siti archeologici ad Oria ne abbiamo tanti, ora i giovani hanno accesso a un luogo di aggregazione che prima non avevano». Quando interessi politici e ultraterreni vanno così d’accordo solo l’organizzazione e la contestazione di chi vive il territorio può fare la differenza. Le proteste cittadine, il continuo ritrovamento di reperti hanno bloccato la situazione per vari mesi con l’indignazione pubblica che si è fatta sentire in tutta l’area circostante. Ma quando le cose si fanno in nome di dio o del dio denaro questo sistema economico e politico finisce per generare un unico risultato: il sito è stato completamente distrutto. Quello che resta, un campo da calcio per seminaristi e giovani del luogo.
[di Marco Coppola]