Il modo in cui ‘noi’ siamo cambiati nel corso della storia non può essere testimoniato meglio che dai ritratti, o meglio, dagli autoritratti. La forma più ‘pulita’ per ‘raccontare di sé’, ovvero senza la contaminazione di una mediazione poiché con questa forma di espressione l’artista unisce soggetto e oggetto.
Inizialmente gli artisti non si ritraevano direttamente, tutt’al più dipingevano uno dei personaggi delle loro tele con le proprie sembianze. Forme usuali erano anche quelle della rappresentazione dell’artista a lavoro, nella sua bottega. Il quattrocento e il cinquecento rappresentano una chiave di svolta nel ritratto, da un lato ormai le scienze umanistiche, la filosofia, che volevano l’uomo al centro dell’universo, virano la stessa prospettiva del ritratto, con Antonello da Messina si giunge alla ‘profondità’, nasce così il ritratto a tre quarti; dall’altro con Autoritratto eseguito da Raffaello nel 1504 e Ritratto del Perugino attribuito allo stesso Raffaello, si giunse ad una nuova idea del ritratto, quella rinascimentale, dove l’artista, che inizia a rappresentarsi esplicitamente, appare sicuro di sé, intellettuale, affascinante, con lo sguardo fisso verso lo spettatore, e si fa così carico di un messaggio: un ruolo sociale ritrovato.
TRA GLI SVARIATI AUTORITRATTI CELEBRI:
Del 1515 celebre è l’Autoritratto di Leonardo Da Vinci, l’opera, dai dettagli curati, si interessa a mostrare i segni del tempo: capelli e barba lunghi, espressione seria, sguardo accigliato rivolto a destra.
L’Autoritratto di Giovan Battista Salvi detto Sassoferrato testimonia come circa 150 anni dopo Autoritratto di Raffaello l’imponenza dello sguardo diretto dell’artista auto-ritratto si è addirittura rafforzata.
Il 1889 vede l’Autoritratto di Vincent Van Gogh, sebbene egli dipinge una numerosa serie di autoritratti. Subito dopo essersi ripreso da una delle sue folli crisi, l’artista ritrae se stesso come fosse imprescindibile dalla sua malattia, il ritratto fondamentalmente di una patologia, dunque occhi inquieti dallo sguardo instabile, labbra serrate, estrema magrezza.
Del 1921 è l’Autoritratto di Salvador Dalì, l’esplosione del controcorrente, forse di una denuncia sociale, un ritratto anti-psicologico, il dipinto mostra infatti una sorta di ‘involucro di sé stesso’, un ‘guanto’ ma commestibile, proprio come la pancetta posta di fianco ad esso, l’artista diviene simbolicamente cibo per ‘le formiche’, ‘cibo’ per il proprio tempo storico.
Ogni epoca ha avuto le sue peculiarità, ogni artista le sue esigenze ed ha fornito la sua ‘rivoluzione’ al riguardo, ma probabilmente il mordente di base di un autoritratto è quello di testimoniare la propria immagine dunque di lasciare una traccia della propria esistenza, come fosse aspirazione all’eternità. L’invenzione che ha catturato tale esigenza lasciandola sviluppare come più non potrebbe è stata senza dubbio la fotografia. Con la fotografia l’autoritratto non è più appannaggio d’artista, ma possibilità di tutti. Ecco che ‘oggi’ l’autoritratto diventa auto-rappresentazione e conoscenza di sé, e nella fotografia assume i connotati dell’autoscatto. Questo processo di indagine di sé, e poi di espressione di sé, avviene attraverso tutte le forme di autoscatto, da quello con il timer, con il telecomando, il flessibile, o con la macchina fotografica in mano, fino alla fotografia eseguita da un assistente il cui unico compito è quello di ‘scattare’.
Ma, come ogni cosa, anche l’auto-scatto può degenerare, secondo uno studio dell’American Psychiatric Association, USA, si chiama ‘selfite’, ovvero una nuova patologia: ritrarsi in fotografie da pubblicare poi in rete, sui social network, il ‘selfie’ se praticato con esagerazione è un vero e proprio disturbo mentale, non una innocua manifestazione dell’era digitale.
Secondo i membri APA, chi ne è colpito soffre di un desiderio ossessivo compulsivo di realizzare fotografie di sé stesso per poi pubblicarle online, pratica avallata senza dubbio con la diffusione del primo iPhone4, esigenza, secondo il suddetto studio, messa in atto però per compensare la mancanza di autostima e per colmare lacune nella propria intimità.
Se dunque prima la rappresentazione di sé era motivata dall’artistico e profondo desiderio di lasciar conoscere anzitutto il proprio ‘genio’ ai posteri, oggi il motivo sarebbe quello di farsi notare (non ‘conoscere’!) a tutti i costi, ciò evidenzierebbe spesso una poetica di solitudine.
La prima fotografia ‘selfie’ più celebre della nostra epoca è stata scattata la notte degli Oscar, protagoniste sono le star di Hollywood. Ma in questo caso le ragioni sono puramente di pubblicità e sponsorizzazione.