Nessun ‘elogio funebre’ per il nobel scomparso lo scorso 13 ottobre, per Fo solo applausi e un ‘elogio gioioso’
Il 13 ottobre a Milano è scomparso l’attore, drammaturgo e artista a tutto tondo, Dario Fo. Ai suoi funerali in migliaia a rendere omaggio a un artista che ha stravolto e dato lustro al teatro, alla letteratura italiana del novecento, ultimo artista italiano a ricevere il riconoscimento del nobel per la letteratura. Una carriera lunga ed estremamente piena quella di Fo per cui le interviste, biografie, coccodrilli e servizi ai TG si sprecano. Ma è solo questo Dario Fo? Lui avrebbe voluto essere ricordato come il “grande artista che ha vinto il nobel” o come il giullare istrionico che ha dato alla sua vita un senso profondo di impegno politico e sociale di prim’ordine? Noi siamo sicuri e propendiamo certamente per questa seconda, anche perché è a partire da questo che si può dare fede e senso di continuità storica a quello che Fo ha fatto e dato alla cultura italiana; per tenere fede al suo testamento lasciato in un’intervista: «Quando morirò scrivete sulla mia tomba che ho fatto di tutto per essere vivo» e allora ricordiamo Fo per il fuoco sacro dell’arte che vive del suo tempo e nel suo tempo perché è lì che trova la sua immortalità. È così che ci possiamo permettere di dire Dario Fo è morto, Viva Dario Fo!
In “Marino è libero! Marino è innocente!” Fo raccontava: «Il tema di questo spettacolo […] tratta del processo a Sofri, Pietrostefani e Bompressi, cioè a tre dirigenti e militanti di Lotta Continua condannati a 22 anni di carcere perché accusati da Leonardo Marino, a sua volta militante di Lotta Continua, di aver ucciso il Commissario Calabresi. Abbiamo portato il nostro spettacolo nei teatri, nelle università, e ci siamo resi conto che sull’inchiesta e su questo processo si sa pochissimo, quasi niente. Abbiamo notato, soprattutto nei giovani, una disinformazione impressionante riguardante il clima, le vicende politiche di quel tempo […] allocchiti siamo rimasti quando abbiamo scoperto che questi giovani studenti non sapevano nulla nemmeno delle bombe, delle stragi e delle truffe giudiziarie di Stato, avvenute trent’anni fa, e che purtroppo si sono ripetute negli anni a venire». In questo vive il centro della vita e delle opere di Dario Fo, un artista vero, concreto e capace di disarmare il potere senza negarsi alla militanza attiva dalla quale solitamente gli artisti stanno alla larga.
In uno dei suoi più celebri spettacoli Fo raccontava: «Il “Mistero Buffo” racconta proprio come il popolo è stato derubato, defraudato da secoli della propria cultura, non solo il padrone se l’è fatta propria e l’ha cammuffata e la impone di nuovo scorrettamente al popolo».Questo uno dei capitoli più intensi e profondi della vita artistica dell’attore lombardo, gli anni in cui era insieme ad altri grandi esponenti del mondo culturale e politico italiano a Soccorso Rosso Militante, una struttura organizzativa italiana creatasi negli anni 70’ per fornire aiuto agli operai nelle lotte di fabbrica e ai militanti colpiti dalla repressione, poi per fornire assistenza legale, economica e monitoraggio delle condizioni carcerarie dei militanti della sinistra extraparlamentare nelle carceri italiane in quelli che furono anni di lunghe lotte e contrasti sociali, anni in cui gli oppressi puntavano alla conquista del potere. Se non si parte da questo non è possibile comprendere il personaggio Dario Fo, non si può individuare nel suo rapporto di derisione del potere in sostegno degli oppressi e in militanza attiva nei movimenti di contestazione e nuovo potere, il nodo conduttore di tutta la sua opera. Non si può comprendere il Dario Fo che ne “Il Mistero buffo” derideva il presidente degli Stati Uniti d’America, citava Mao Zedong e mostrava la storia dello sberleffo dei potenti con maestria e genialità; non si può comprendere il Dario Fo che denunciava lo Stato e le forze dell’ordine per l’omicidio Pinelli a seguito dell’attentato di piazza Fontana (1969) in “Morte accidentale di un anarchico”; Da qui si può dare giustizia alle sue parole: «La dimensione delle verità; ce n’è una, quella del padrone che noi cerchiamo di confutare se non altro di dire da dove nasce».
La morte di Fo si aggiunge a quelle di una generazione di artisti, intellettuali ed esponenti del mondo dello spettacolo e della cultura che hanno vissuto da protagonisti il proprio tempo, lontani dalla concezione dell’artista come venditore di un prodotto ma come intellettuale a tutto tondo, inserito nel suo tempo, nelle contraddizioni dei propri anni e dalla parte di chi cercava giorno dopo giorno di costruire un nuovo mondo, una nuova visione delle cose, la libertà. Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Dario Fo ed altri illustri compagni d’arte militante sono morti ma sono più vivi che mai. Dario Fo è morto, Viva Dario Fo!
[di Marco Coppola]