Protagonisti di anni di cambiamento e di contestazioni generali e generalizzate Warhol e Reed, e chi per loro, si contendono i diritti della copertina di un disco a distanza di cinquant’anni
In tanti conoscono la celebre “banana” di Andy Warhol che fece da copertina all’album Velvet Underground e Nico dei Velvet Undergorund di Lou Reed. Una rappresentazione fruttifera che galleggiava nel vuoto di uno spazio bianco e che sarebbe diventata uno dei simboli di un movimento culturale molto più ampio e di importanza storica determinante. Siamo nel marzo del 1966 e nei concerti, nelle piazze e per le strade si respirava già l’aria di una nuova generazione, di un modo diverso di intendere la vita e la società. Un frutto che diventa oro come critica a un sistema economico che stava conoscendo la sua ripresa economica a seguito della seconda guerra mondiale; c’era un mondo da ricostruire e lo si stava facendo, come al solito per le classi dominanti, con il mantra esasperante del profitto. Un messaggio racchiuso in un’immagine evocativa e dirompente che si accompagnava alle note, trasgressive per l’epoca, di uno dei gruppi capofila del rinnovamento in campo artistico e musicale.
È un paradosso quanto avvenuto in seguito rispetto ai diritti di quest’immagine finita al centro di una disputa legale tra, l’ormai scomparso Lou Reed e la fondazione che gestisce i diritti delle immagini e delle opere di Andy Warhol. Siamo nel novembre 2013 quando i Velvet Underground hanno deciso di vendere il logo a un’azienda di borse e borselli per iPad. Il cuore dello scontro è sulla proprietà di quell’immagine tra il fondatore della popart e i cantori della trasformazione del mondo musicale di quegli anni che usciva dallo stile ingessato e di maniera che invadeva balere e luoghi di aggregazione. Il disco, giudicato tra i più belli di sempre, e quell’immagine sono un unicum concettuale e significativo che non ha pari nella storia e non può appartenere ai suoi estensori, o in chi ne fa le veci; quell’album e quell’opera d’arte appartengono ai milioni di uomini e donne che l’hanno acquistato ai tempi, che vi hanno condiviso tappe importanti della propria vita, che hanno trovato ispirazione e convinzione che, come gli artisti suggerivano, qualcosa può cambiare. È triste quindi leggere di tali dispute e di come la logica del profitto e l’assorbimento dell’arte nel sistema speculativo mondiale come merce da vendere e acquistare. L’arte è altra cosa, l’arte è delle persone.
[di Marco Coppola]