Alla scoperta di Juan Downey, l’architetto dell’invisibile che intuì da subito l’importanza del mezzo videografico
Juan Downey era un artista cileno conosciuto soprattutto per le sue opere d’arte innovative consistenti in video, sculture e performance interattive – queste ultime hanno fatto sì che Downey venisse considerato come una sorta di “architetto dell’invisibile”. Tutte le sue opere sono state pensate al fine di stimolare la riflessione sull’interazione tra individuo e macchine.
Tra le sue performance più conosciute spicca “Plato Now”, datata 1973. Il nome è un chiaro riferimento al mito platonico della caverna: allo stesso modo degli uomini che nel mito imparavano a conoscere se stessi e il mondo “di fuori”, l’uomo comune di Downey iniziava a conoscere gradualmente le innovazioni tecnologiche. Nella fattispecie ciò accadeva facendo sì che le persone che si interfacciavano l’opera “Plato Now” producessero delle onde alfa, alterando il segnale degli schermi in cui il loro volto compariva.
Il pubblico era già parte integrante dell’opera d’arte all’epoca di “Against Shadows”, 1970, in cui i feedback dei visitatori facevano azionare delle luci su un quadro, generando ciò che è stata definita una sorta di scultura elettronica.
Altre opere di grandi impatto sono quelle derivanti dagli studi di Juan Downey sulle reazioni degli aborigeni della foresta amazzonica alla tecnologia. L’intenzione dell’artista era quella di studiare come la tecnologia – in particolar modo i video – influisce sull’ampliamento della conoscenza umana. Opere in questa direzione sono state “Circulo de Fuego”, 1973, in cui degli schermi venivano posizionati in modo da richiamare la casa comune degli Yanomani e “Retroalimentaciones en el Amazonas”, 1977, una sorta di documentario in cui veniva mostrata l’importanza del ruolo di ogni membro delle suddette popolazioni e l’interazione con i mezzi considerati all’avanguardia per l’epoca.
[di Ambra Benvenuto]