Flaviano Esposito ripercorre il suo percorso artistico
Articolo di Antonio Mastrogiacomo
Flaviano Esposito è un artista sannita che fa ricerca da anni sui rapporti tra immaginazione visuale e immaginario quotidiano. La sua esperienza intreccia infatti la tradizione figurativa e la sua tecnologica traduzione digitale:
«Non so dire quando sia iniziato, forse da sempre; di sicuro è un interesse che è maturato negli anni. La cultura visiva e la sensibilità pittorica è molto presente nella mia famiglia: molti hanno studiato in accademia e sono tutt’ora professionisti del settore. La mia educazione visiva parte dalla pittura e prosegue verso le nuove tecnologie con una sostanziale convergenza attorno alle esperienze napoletane. L’incontro con i maestri di Quartapittura e Nuove Tecnologie dell’Arte all’Accademia ha prodotto la ‘crisi’, in termini positivi, che ha determinato un profondo vagare tra i linguaggi. Come lo sono state tanto le ipotesi del Gruppo Usarname ArtAgency, con il Maestro Ninì Sgambati, e le modalità poetiche per luoghi ed esperienze di massa quanto le sperimentazioni tecnologiche e la relativa ibridazione con l’Arte Pubblica Relazionale del gruppo Mediaintegrati e la Scuola-Rizoma coordinata dal Maestro Franz Iandolo. La sintesi sarebbe poi sfociata nel gruppo Giusto il tempo di un tè, anch’esso di natura mutevole, relazionale e itinerante».
Questo spunto biografico di Flaviano Esposito permette qualche considerazione dunque sulle differenze che si
pongono tra materiale analogico e digitale tanto in rapporto tanto alla produzione quanto alla diffusione.
«Nel 2010 partecipai alla costruzione collettiva di un considerevole cuore nero di oltre 5 metri d’altezza, in un laboratorio che sarebbe poi stato murato, al quarto piano dell’accademia. Ne riducemmo l’intera forma in cartocci teorizzando la tecnica minima del comun denominatore del fare collettivo: fu per me il momento più significativo del lavoro sulla materia. Un processo che con l’opera struttura, per la mostra Antologia curata da Mario Francesco Simeone, è riaffiorato in termini geometrici. Una parentesi del tutto digitale sono i lavori di videomapping e di audiovisivi con i gruppi Hypoikon e Lumiere Blance, con Pasquale Napolitano e Stefano Perna, nei festival flussi media art, File festival internazionale dei linguaggi elettronici, Riot Studio con Nello K e Andrea Maioli. Il mio lavoro si struttura sulla possibilità di sintesi di tutte queste esperienze, in particolare sul limite tra analogico e digitale, della comunicazione dinnanzi e oltre gli schermi, sugli oggetti interfaccia. Ultimo di questo genere è il progetto Ivy, acceso in occasione di Shen capitolo 1 nella Galleria E23 di Napoli. Ivy è una scultura-dispositivo di data analisys pensata per generare paesaggi immateriali a partire dai dati sensibili delle fidelity card. L’opera – legno e polimeri da stampa 3d – è un oggetto smart capace di dialogare con lo spazio e gli oggetti. La frequenza e il numero d’interazioni con l’opera sono l’ossatura dei paesaggi, nel tentativo di innescare un processo speculare che non produce un oggetto finito e decontestualizzato in uno spazio asettico ma al contrario un dispositivo che si configura dalla galleria e che dà inizio a molteplici forme».
Questa decisiva liquidità dei lavori di Flaviano Esposito diventa funzionale all’introduzione dell’arte in luoghi dall’attraversamento abituale e quotidiano:
«Si tratta di un lavoro pensato per interagire con gli spazi espositivi e i cosiddetti non-luoghi, i centri commerciali, gli ipermercati, le autostrade e i socialnetwork. In questi ‘territori’ i dati sensibili delle carte fedeltà già condizionano gli schemi e la disposizione degli spazi e delle merci, meccanismo che ivy può accelerare per produrre esperienze del tutto estetiche senza alterarne le componenti funzionali. Diametralmente è negli spazi della galleria che si producono le soluzioni formali sul tracking data, un laboratorio in continuo aggiornamento per le formule estetiche a sostegno degli uffici marketing. Ad esempio, una nota catena di supermercati sta finanziando ricerche che hanno di mira le dinamiche della fila alle casse, un momento percepito ancora stressante dell’esperienza del fare acquisti. Ivy produce questi interventi estetici modificando il luogo dell’attesa nel dialogo con gli utenti, le merci e il codice a barre».
In conclusione Flaviano Esposito ripercorre le ultime tappe del suo percorso geografico, in considerazione soprattutto del portato di una ruralità condivisa tanto nei valori sociali quanto culturali in grado di ridiscutere alcune forme di produzione artistica:
«Da quasi due anni sono più presente nel Sannio, dove ho avuto modo di incontrare molte persone interessanti e interessate che operano in settori diversi dal mio, dai militanti di base ai contadini urbani, passando per i mediatori interculturali. Discutiamo molto delle loro esperienze nel sociale, delle dinamiche reali dell’accoglienza, delle cooperative degli orti urbani, degli artigiani e delle dinamiche sperimentali di Shen e Giusto il tempo di un tè. Realtà resilienti in un territorio che negli ultimi anni ha subito le conseguenze dell’emigrazione della popolazione giovanile in particolare e in riferimento all’isolamento rispetto a centri più dinamici. Pensiamo che da questi territori e dalla cultura locale si possa sviluppare il senso di unicità all’interno della nebulosa della globalità con l’utilizzo delle macchine di prototipazione 3D e gli strumenti mediali, diffondendo spazi di narrazioni, non più di collezione».
[Antonio Mastrogiacomo]