Negli anni ’60 il mezzo televisivo diventa strumento d’espressione artistica, tra i pionieri del nuovo genere: Nam June Paik, il musicista coreano che ha inventato la videoarte.
Negli anni ’60 gli inizi, diversi, della videoarte sono contraddistinti dal tentativo continuo di demolire il mezzo televisivo, andandolo a colpire lì nei suoi componenti più essenziali: lo schermo e l’immagine. Lo sviluppo di questo genere artistico vedeva in particolare l’immagine elettronica e cinematografica come esperienze profondamente temporali e articolate su tutti i piani esperienziali che il pubblico, per primo, trova nella “visione” distorta del mezzo ponendosi come soggetto e non più come oggetto della fruizione artistica. In questo senso la videoinstallazione è l’opposto concettuale della visione modernista dell’arte, contraddistinta dalla purezza dei mezzi e dei linguaggi. La videoinstallazione e la videoarte sfondano invece la dimensione monodirezionale dell’arte per costruire un campo largo in cui l’opera esce da se stessa, il pubblico esce da se stesso, per congiungersi in un tutt’uno relazionale intermedio, che è l’opera stessa.
Nam June Paik, per primo, alterò i meccanismi interni dei televisori e li espose come opere di stampo neodadaista e Fluxus. La prima mostra con la presentazione di lavori che hanno cominciato questo percorso è stata proprio una personale dell’artista coreano nel marzo del 1963. Il musicista coreano, per primo, ha scomposto il mezzo televisivo in ogni suo particolare e componente. È con lui che il televisore da elettrodomestico di lusso diventa arte. Erano comuni opere di questo artista in cui i televisori erano disposti in tre gruppi: nel primo, immagini manipolate in negativo e deformate; nel secondo, un televisore aveva una radio collegata il cui volume deformava l’immagine in video; nel terzo, era collegato un microfono e i suoni esterni, nella stanza, provocavano punti luce particolari nell’immagine in video. Le installazioni di Paik possono essere divise in diversi gruppi, che mostrano l’enorme capacità dell’artista di utilizzare materie e tecniche diverse dal cui incrocio nascono le esperienze artistiche più varie: interattive, a circuito chiuso, minimaliste, monocanale, a più monitor o proiezioni.
Esempio importante dell’opera di Paik è l’installazione TV Candle: una candela accesa è posta all’interno di un apparecchio tv svuotato. Quest’opera è presente in quasi tutte le mostre di Paik ed è sempre diversa. La luce della candela sostituisce la luce elettrica e rappresenta un esempio di accostamento tra luce naturale e artificiale, due nozioni che in Paik si fondono l’una nell’altra.
«Un giorno gli artisti lavoreranno con i condensatori, le resistenze, i semiconduttori come oggi lavorano con i pennelli, i violini e i materiali vari» – Nam June Paik.
[di Marco Coppola]