Lo scorso 2013 ha segnato il 150esimo anniversario della nascita di Edvard Munch, occasione celebrata internazionalmente a cui anche l’Italia ha reso omaggio con una ricca esposizione inaugurata a novembre ma fruibile ancora fino al 27 aprile, presso Palazzo Ducale di Genova.
“Un’opera d’arte proviene dall’interiorità dell’uomo… L’arte è il sangue del cuore umano…”, scriveva Munch, difatti la sua è un’opera imprescindibile dalla sua vicenda personale. La malattia, la depressione, la morte, l’inevitabile inquietudine interiore costellano tutta la vita dell’artista fino ad influenzare il suo pensiero negativo, la sua realtà profondamente permeata di un senso angoscioso, lucidamente senza speranza. Nella sua personalità, e nella sua arte quindi, complessa e contraddittoria riecheggiano le iniziali disapprovazioni, le critiche, tutto il suo percorso esistenziale ed artistico, che sebbene non fosse mai del tutto compreso, giunse a riconoscimenti ed accettazione nei tempi più maturi.
Dal suo mondo interiore l’opera dell’artista norvegese è molte volte la grande voce dei temi sociali e psicologici del tempo: la solitudine, la falsità dei rapporti umani, la crisi dei valori, l’incertezza del futuro, la disumanizzazione della borghesia e delle sue vuote ritualità. Tematiche che gli conferiscono una violenza tale da irrompere nel panorama pittorico europeo quasi come un pioniere di quella che sarà l’esplosione del fenomeno espressionista.
Così nei suoi dipinti si respira il senso di chiuso, la malattia, l’acuto aroma delle medicine, come in Fanciulla Malata, dove l’artista racconta la prematura scomparsa della sua sorellina Sophie; oppure l’omologato vuoto interiore, come in Sera nel corso Karl Johann, dove il rito del passeggiare viene reso come una processione di figure quasi spettrali dagli occhi sbarrati e i volti indistintamente scheletrici, umani solo nei loro accessori, i cappelli, l’unica ‘speranza’, che si legge in realtà come un grosso senso di solitudine, è costituito da una figura di spalle che cammina in direzione opposta e che probabilmente è la rappresentazione di se stesso, estraneo, differente da tutto e da tutti; ma la solitudine della sua individualità, o il dramma dell’umanità, giungono alla perfezione espressiva ne Il Grido, o l’Urlo, il dipinto munchiano più celebre, una scena fortemente autobiografica ricca di simbolismi dove un essere, la cui esteriorità è il preciso segno della sua interiorità piena d’angoscia, dalla sostanza quasi molle che sembra inserirsi nella stessa materia inconsistente con cui è realizzato il ponte, il cielo, il mare, si esprime in un grido disperato, come di chi si è perso in se stesso, solo anche tra gli altri che incuranti del suo turbamento si allontanano nel loro cammino.
La mostra genovese consta di un’ottantina di opere, distribuite in sezioni, tra olii, tempere, pastelli, litografie, xilografie, realizzate tra gli anni giovanili e quelli della maturità, e provenienti da importanti collezioni private internazionali. Presenti inoltre due serigrafie de Il Grido, ed alcuni lavori realizzati da Andy Warhol ispirati a Munch.
La retrospettiva, curata da Marc Restellini, è concepita oltretutto come un immenso laboratorio che avvicina il pubblico, grandi e piccini, e stimola un lavoro sull’interiorità di ciascuno con attività pittoriche, grafiche, creative, esperienze multimediali e tanto altro.