Articolo di AMBRA BENVENUTO
Fino a fine novembre il museo Maxxi di Roma si trasforma in una mostra interamente svuotata di forme e riempita di suoni. Titolo della mostra è “Open museum open city”. Le sale del museo sono rivoluzionate. All’interno solo istallazioni “site specific”, narrazioni, dibattiti, esercizi, performance, concerti, djset, spettacoli, danza, nonché incontri con artisti, e proposte originali di interazione con il pubblico.
Open Museum Open City è un coraggioso esperimento di Hou Hanru.
Il museo è stato trasformato in un vero e proprio spazio urbano. Le sale sono divenute spazi nuovi con nuovi contenuti che permettono l’interazione diretta tra autori delle istallazioni, ambiente e pubblico. Il direttore artistico del MAXXI intende proporre l’istituzione di un nuovo “foro Romano”: uno spazio di condivisione delle più svariate esperienze.
L’installazione che si pone quest’intento è quella di Cevdet Erek. L’artista ha innalzato il livello architettonico preesistente rimuovendo le balaustre di vetro e collegando le terrazze della “Galleria 3” tramite delle rampe di scale. Il risultato è una piazza nuova da cui si ottiene una percezione dello spazio differente.
Altre installazioni che hanno sfruttato le potenzialità della la struttura sono state quelle Justin Bennet e Haroon Mirza con il progetto RAM. I suoni della città sono stati reinseriti all’interno dello spazio-museo, creando isole d’ascolto che ritraggono aspetti sempre diversi di uno spazio urbano che vive, lavora, scambia e si riposa. Si ha l’impressione che l’apertura e la democraticità delle piazze, dei giardini, delle strade, siano state riportate dentro i luoghi di cultura.
Sublimated Music di Philippe Rahm, consta di uno stanzone dove è scomposto acusticamente un brano di Debussy. Ogni cassa su ognuna delle pareti suona una nota diversa. La luce è scomposta ugualmente in sedici cromie differenti. Si crea uno spazio in cui la percezione sensoriale è diversa in ogni angolo e si ricompatta alla fine della galleria.
Le architetture bianche del Maxxi accolgono il pubblico con Sonic Mapping, da cui Bill Fontana propaga i rumori dell’acquedotto Vergine all’interno del museo dando vita ad una delle sue “sculture sonore”. Nelle stanze si sentono i rumori di un acquedotto che si trova in tutt’altro luogo della città. I visitatori non vedono il luogo di provenienza del rumore ma lo sentono. Un magnifico esempio di architettura sonora che illustra come un ambiente possa interamente essere costruito solo da suoni.
Francesco Fonassi con Territoriale crea un’intera galleria divisa da un muro, in cui il pubblico percepisce sonoramente l’avvicinarsi dei visitatori dall’altra parte, in un contatto presente e invisibile, metafora sonora di desideri, paure e conflitti del rapporto con l’altro. Altre sfide sonore sono state rappresentate da Ryoji Ikeda, che pone in risalto una riflessione sull’origine delle cose partendo da un lavoro minimalista sull’evoluzione dell’intonazione della nota musicale “la”.
Chiude la mostra Il guerriero solitario di Jean-Baptiste Ganne, che traduce il Don Chosciotte in linguaggio morse, che notte e giorno pulsa silenzioso dietro il vetro della facciata del museo, ricordando quella “componente onirica ed emotiva che sta alla base delle battaglie da combattere”.
Contemporaneità, plurilinguismo, novità, anche grazie alle performance e agli incontri che ogni giorno si succedono fino al termine della mostra con artisti, critici, filosofi, scrittori.
Infine l’istallazione di una stazione radio progettata da H.H.LIM, permette il coinvolgimento del pubblico e degli artisti anche da casa: basta, infatti, inviare una propria traccia audio tramite il sito internet del MAXXI o tramite la apposita app entro il 30 novembre.
[di Ambra Benvenuto]