In alcune città si marca il confine tra arte e vandalismo.
Anche in Italia va spegnandosi la fiamma della demonizzazione della street art: Palermo, Napoli, Roma, Bologna, Genova, Milano e Torino diventano infatti le protagoniste di una campagna di controinformazione ai danni di una sfilza di clichè e luoghi comuni, che catalogano lo scrivere sui muri come un’attività vandalica, attraverso visite guidate che conducono alla scoperta dei tesori di una nuova arte moderna.
È da diversi anni che in molte città (specie la capitale) vengono organizzati eventi e competizioni per dare spazio e spazi legali ai writer, ma è in questi mesi che l’avvento di questi tour ha permesso che le istituzioni riconoscessero queste iniziative, diminuendo così le distanze generazionali, aiutando i meno giovani (o chi è vittima di stereotipi e luoghi comuni) a capire e i più giovani (o in genere gli “operatori del settore”) ad essere capiti.
Di fatto il writing nasce negli anni settanta come strumento di denuncia e di riappropriazione degli spazi, sia urbani che sociali: orde di giovanissimi urlavano, restando in silenzio, la loro appartenenza ad una società che li aveva emarginati.
Nulla di nuovo tutto sommato dato che da sempre l’essere umano sente la necesità di lasciare traccia di sè scrivendo lì dove tutti possano leggere. Condannare il writing sarebbe come rinunciare a parte della nostra essenza. Inoltre si condannerebbe un validissimo strumento di riqualifica di quartieri periferici, nei quali -grazie a queste visite- è nata un’innovativa forma di turismo.
Che questo però non significhi accettare di buon grado ogni azione! Ad essere condannata forse non dovrebbe essere tanto la street art, quanto la mancanza di consapevolezza dei propri gesti. Quello è vandalismo. Ad esempio a Lisbona (Portogallo), per marcare il confine tra arte e vandalismo, si è entrati in contatto con gli street artisti (writer) per spiegar loro che è significativa la differenza che c’è tra scrivere su di un muro -costantemente soggetto a riverniciature- o sul marmo di un antico complesso architettonico.
Approfittare dunque della possibilità di osservare così da vicino opere che tra pochi anni finiranno sui manuali accademici, significa anche parlare e ascoltare la città, perché una città senza scritte è una città senza coscienza.
[di Roberto De Rosa]