L’isolamento – elemento centrale nell’opera di Jack Goldstein: dal seppellire se stesso al ritaglio di frammenti di film
Jack Goldstein, artista canadese, si è cimentato in performance, arte concettuale e pittura.
Nato a Montreal, si è formato in California.
Già durante gli anni di formazione, Goldstein si dava da fare con le performance: nel 1972 si è sepolto con uno stetoscopio. Mentre respirava grazie a dei tubicini di plastica, una luce rossa lampeggiava a ritmo del suo cuore.
Un’altra performance celebre è “Burning Window”, 1977, il cui elemento fondamentale era una stanza vuota con soffitto nero e parete rossa. Su quest’ultima vi erano dei pannelli di diversi materiali e candele che davano al pubblico l’impressione di trovarsi davanti a una finestra, in presenza di un fuoco acceso. La performance intendeva mettere in discussione la verità di un’esperienza vissuta esclusivamente attraverso la vista.
Fino agli anni ’80, Goldstein ha prodotto numerosi film sperimentali ed estratto il loro audio trasponendolo su vinile. Tra i lavori più importanti di questo genere spicca “The Jump”, un film in cui una figura scintillante su fondo nero esegue uno spinning flip. Quest’opera si contestualizza in un periodo in cui Goldstein indagava sull’utilizzo che i nazisti facevano del materiale iconografico e dei media in generale.
In seguito, Jack Goldstein si è concentrato su un tipo di pittura basato sulla rappresentazione di fenomeni naturali e sulla tecnologia: il tutto era improntato a voler rappresentare un ‘istante spettacolare’, cogliendo la sfida lanciata poco tempo prima dalla fotografia.
Tra le opere più famose di Goldstein è doveroso annoverare anche “Metro Goldwyn Mayer”, MGM, 1975. Si tratta di un film nel quale è possibile vedere un leone intento a ruggire, a loop. Il frammento risulterà familiare soprattutto agli estimatori dei film d’epoca: l’opera di Goldstein non è che un montaggio del leone della storica compagnia di cineproduzione, su un sfondo rosso.
[di Ambra Benvenuto]