“Secondo me la mia musica è audiovisiva… è un film! Io non so parlare, non so neanche scrivere, quindi lo faccio con la musica. Una musica evocativa”
Da poco il grande pubblico ha la possibilità di conoscere e apprezzare la musica di Ivan Dalia, finalista di Italia’s got Talent. Benché giovane, il pianista non è certamente al suo esordio, dato il passato pregno di esperienze, studi ed esibizioni.
Il percorso musicale di quest’artista comincia verso gli undici anni, quando suonare non è più solo un gioco ma diventa un’esigenza interiore. Trasferitosi poi zaino in spalla in Germania, Dalia ha continuato la sua crescita. «Berlino è una bella parentesi – afferma – mi ha dato molta concentrazione. Il freddo, il silenzio… è diverso da qui. Anche la solitudine. Sono sensazioni che non conoscevo. All’inizio può far impressione, poi diventa una bella cosa».
Il suo percorso è continuato nel programma televisivo Italia’s Got Talent, dove ha colpito tutti musicalmente e caratterialmente. È però la qualità della sua esibizione che va messa in luce: «Ho dovuto chiaramente fare una versione televisiva. Ho scelto uno stile, un’impronta: ho scelto il gioco. Se in televisione fai cose serie, risultano romantiche e minimali. Così magari la gente si diverte, anche se non capisce lo stesso un cazzo, perché ovviamente è difficile cogliere tutto, a livello tecnico e d’impatto, dato che si è abituati a sentire una musica che è sempre quella. Invece così forse si sono scossi un po’ e io sono riuscito a dare una parte di me, che è quello che un’artista vuol fare!»
Interessante l’arrangiamento operato dallo stesso pianista per la sua versione di I got rythm (di Gershwin N.d.R.) effettuata senza batteria. «Eravamo noi la percussione – spiega – noi eravamo la melodia e l’armonia». La sua musica è stata definita anche “destrutturata” da uno dei giudici del programma. Definizione, questa, senza dubbio un po’ ossimorica. «Io credo che Luciana Littizzetto volesse dire “senza confini”, effettivamente a me piace rompere i confini, la convenzione, avere la libertà di potersi spostare con il tema. Direi più variazione, come concetto. Lo sviluppo delle cose».
Spesso il mondo della musica può diventare una gabbia. Non dovrebbe esserci limite alle possibilità dell’inventiva, al flusso della fantasia. Purtroppo sempre più si categorizza, incatenando gli artisti in generi musicali prestabiliti da cui diventa complesso uscire. Ivan Dalia viene spesso definito un jazzista ma non si può dire che sia solo questo. Come lui stesso ribadisce: «Io mi ritengo anche un jazzista. Ho influenze anche dalla classica, dalla popolare, dal reggae e dal funk. Negli anni ‘70 c’era un genere che si chiamava Prog. Il linguaggio era rock ma la concezione era classica. Non è la normale canzone con schema ABA, è un poema! Io vengo un po’ da questa cosa qui. Poi sono un compositore e uso gli elementi che mi servono. Questa è la liberta che vorrei avere, per sempre!».
La concezione artistica di questo pianista è sicuramente affascinante, così come la sua voglia di fare la musica per la musica, adattandosi quando serve ma senza arrendersi. «Secondo me la mia musica è audiovisiva. Tipo il quartetto d’archi che sto scrivendo… è un film! Io non so parlare, non so neanche scrivere, quindi lo faccio con la musica. Una musica evocativa».
Secondo la concezione di Dalia, la musica è un qualcosa che fa bene e che spinge la quotidianità oltre la noia. Reinventandosi, si supera quello che egli chiama il momento di vuoto: «È la mia idea. Secondo me l’arte deve fare bene, anche facendoti piangere, anche facendoti diventare molto triste. È qualcosa che ti apre un mondo, che ti fa vedere delle cose. Ti scuote! Ti dice ‘guarda che sta succedendo qualcosa’ e questo ti fa bene, te sceta dô suònn, insomma.
È il pensiero che fa la vita. Le cose belle le devi fare Tu, perché se non la cerchi tu… la bellezza, quella mica viene da te. Mica è o’ cane ch’ ‘o chiamm’ e vene. È una cosa che tu cerchi, è come l’amore, lo devi cercare sinnò nun ‘o truove. Saper pensare è cercare di capire come stare bene».
Il ruolo catartico della musica non si ferma al livello dell’interiorità. Come l’artista specifica: «L’arte può aiutare la creatività; non è che devi necessariamente inventarti il romanticismo. Anche nella scuola è tutto più basato sull’informazione che sulla creatività, tutti seduti là come dei deficienti a sentire per sei ore uno che parla. Secondo me il mondo vuole andare verso la disciplina, perché è più comodo poi comandarti. Se li fai creativi, li fai intelligenti e poi non li gestisci. Secondo te perché tagliano i fondi alla cultura? Così voti loro!»
Parlando del futuro, delle infinite possibilità che questo può offrire, Ivan Dalia racconta: «Vorrei comporre, suonare in una big band e fare un bordello della madonna sul palco. Con arrangiamenti miei e animali da palcoscenico. Gente all’in piedi, soprattutto. Basta con queste persone sedute! La mia musica è fatta per stare in piedi: io mi muovo molto. Perché come si fa…. Ascolti Stravinskij e non ti muovi, non balli?».
Mentre attendiamo il suo disco in prossima uscita, non possiamo non immaginarci in questo scenario: ballare al suono delle eclettiche composizioni di Dalia lasciandosi trasportare dal suo suono personale; da una musica che è specchio del vivere del musicista e che fluisce in chi ascolta, esiste e si muove con lei.
[di Francesca Lomasto]