Non tutti conoscono il fatto che Karl Marx per oltre dieci anni come professione abbia fatto il giornalista e che già da lì si ponesse la domanda: interpretare la realtà o trasformarla?
Tanti sono i cultori della teoria secondo cui il giornalista non può essere di parte o prendere posizioni rispetto a quello che è il contesto che gli sta intorno e quello stesso mondo che descrive. In pochi ammettono che ciò è assolutamente impossibile da un lato, e falso nella misura in cui oggetto e soggetto vengono così confusi e mescolati, dall’altro. Non è un caso che personaggi come Antonio Gramsci, Vladimir Lenin, Ernesto Guevara e perfino il subcomandante Marcos abbiano svolto il mestiere del giornalista. Non sempre però ci si ricorda che a ricoprire tale ruolo fu anche Karl Marx, ve n’è nota in un appunto proprio di Antonio Gramsci in cui si legge: «Marx non poteva avere esperienze storiche superiori a quelle di Hegel (almeno molto superiori), ma aveva il senso delle masse, per la sua attività giornalistica e agitatoria. Il concetto di Marx dell’organizzazione rimane impigliato tra questi elementi: organizzazione di mestiere, clubs giacobini, cospirazioni segrete di piccoli gruppi, organizzazione giornalistica».
Contestualizzando al tempo, Gramsci riporta gli aspetti di teoria e prassi di Marx in quello che era il mezzo di divulgazione principale del suo tempo, il giornale. Marx faceva il giornalista e ciò incideva sulle sue ricerche, su quanto egli vi riversava dell’esperienza diretta compiuta tra le masse e quanto ne elaborava dei pezzi traducendoli per iscritto. In un certo senso prassi, teoria e prassi di livello superiore vivano quasi istintivamente nel modo di lavorare di Marx.
C’è un libro Dal nostro corrispondente a Londra. Karl Marx giornalista per la New York Daily Tribune che racconta degli anni in cui Marx scrisse come corrispondente da Londra per la testata newyorkese. Giunto nell’agosto del 1849 a Londra, il filosofo e la sua famiglia, al pari di quelle operaie inglesi, soffrono fame, miseria e morte. Nonostante le difficoltà materiali e i ritagli di tempo in cui Marx si rintanava nel silenzio della vicina biblioteca, l’attività giornalistica finiva per assorbire il grosso del suo tempo e fu così per almeno dieci anni. Era inevitabile quindi che interi pezzi dell’elaborazione marxista, nella versione di germi e spunti, vivessero nelle pagine scritte per il giornale.
In che misura ciò abbia influito nel grosso dell’elaborazione di Marx non è dato sapere. È sicuro però che lo stile di scrittura sferzante e provocatorio, la capacità di trovare sintesi efficaci per esprimere concetti spesso molto complessi, così come il rigore metodologico nello studiare fenomeni sociali da cui trarre spunti e riflessioni affondino le radici in questo periodo, anche abbastanza lungo, della vita di Marx. Fare il giornalista in questo senso non è pretesa di essere oggettivi e obiettivi, ma è analisi critica e trasformazione dell’esistente. Fu proprio Marx, non a caso, a scrivere nelle sue Tesi su Feuerbach: «I filosofi hanno [finora] solo interpretato diversamente il mondo; ma si tratta di trasformarlo» e possiamo dire che questa regole, in un certo senso, debba valere anche per giornalisti, artisti ed esponenti del mondo culturale del nostro paese.
[di Marco Coppola]