Da un po’ di tempo, “Autostrade per l’Italia” ci ricorda, con cartelli a forma di quadri incorniciati visibili lungo le banchine delle carreggiate, o con vere e proprie istallazioni all’interno delle soste in Autogrill, che siamo in un Paese meraviglioso.
Fino a settembre chi imboccherà l’uscita autostradale per Roma, o chi a Roma ci vive, potrà recarsi al Foro Traiano per scoprire in modo inedito uno dei monumenti salienti della storia e dell’arte romana, la Colonna Traiana: da un’idea del professor Francesco Zan, il maestoso monumento a còclide (a chiocciola) è stato fotografato, per realizzare un’esposizione in orizzontale di quelle fotografie, riportate su lunghi teli di pvc. Questo progetto permette di dare linearità al fregio, ricco di dettagli e avvenimenti storici, difficili invece da ‘leggere’ seguendo la ‘narrazione’ spiraliforme proposta direttamente sul fusto della colonna, soprattutto per quanto riguarda le scene presenti sui rocchi di marmo più vicini alla cima.
Il progetto esecutivo e la stampa è a cura di Marco Taddei, Tecniform S.r.l; la realizzazione dell’allestimento di ArticolArte S.r.l; didascalie e rielaborazione di S. Settis, Einaudi, Torino 1988.
Particolarità della riproduzione fotografica del fregio è l’utilizzo della luce naturale che dona al fregio in pvc un aspetto particolarmente vivo, comprensivo del contrasto di ombre e luci naturali del marmo; le scene sono presentate senza interruzioni, mentre delle sapienti didascalie rendono facile come non mai la comprensione di tutti i momenti storici raccontati dalla colonna. La ‘colonna srotolata’ è posta al centro di piazza del Foro di Traiano, e basta sollevare lo sguardo dal lungo telo stampato per poter osservare col naso all’insù l’originale capolavoro della creatività romana proprio lì accanto, che troneggia in una vera e propria pagina di storia dell’arte a cielo aperto, comprensiva dei reperti archeologici del Foro o da dove, in una discreta vicinanza, si intravede l’immenso Altare della Patria.
LA COLONNA TRAIANA – 29 metri, circa, di altezza per una dimensione complessiva di quasi 40 metri se si aggiunge il grosso basamento e la statua in cima (originariamente si trattava di un bronzo dorato dell’imperatore Traiano, andato perduto è stato sostituito attualmente dalla statua di San Pietro), la Colonna di Traiano ha un fusto di circa 4 metri di diametro, formato da 21 blocchi di marmo di Carrara disposti uno sull’altro e scolpiti per raccontare le due grandi campagne militari di Traiano in Dacia (101-102, e 105-107 d.C.). Si tratta dunque di un monumento di propaganda, creato ovvero dai vincitori.
Definita da Alberto Angela un “Incredibile libro di pietra, con un ritmo di sceneggiatura perfetto” o “un’immensa pellicola fotografica”, la colonna è la più completa testimonianza dell’esercito romano (importantissimo elemento storico), oltre ad essere la struttura più longeva di tutto l’occidente: è in piedi da 19 secoli superando disastri naturali, attacchi, o l’incuria del tempo. Ma se ad oggi possiamo conoscere tutti i particolari di questo importante avvenimento del nostro passato lo dobbiamo alla ricchezza dei Daci, della quale i Romani entrarono in possesso in seguito alla vittoria, e con la quale Traiano diede ordine, tra le varie iniziative, di costruire l’immensa colonna.
La narrazione procede dal basso verso l’alto, il ‘nastro’, la cui altezza varia da 60 a 80 centimetri cosicché vista dal basso l’effetto prospettico la fa apparire con una dimensione costante, si avvolge in senso antiorario per 23 volte, per una lunghezza complessiva di circa 200 metri.
LE DIVERSE FASI DELLA GUERRA, TEMI DEL FREGIO – Fra le prime rappresentazioni, poste nella parte inferiore della colonna, compare l’allestimento da parte dei legionari romani di un ponderoso ed insolito sistema di fortificazione nel territorio dei Daci, sulla sponda sinistra del fiume Danubio, per difendersi dalla strategia migliore dei Daci: gli attacchi improvvisi; alla quale segue la personificazione del Danubio in un gigante dalla folta barba, intento ad osservare l’esercito romano mentre sfila sui ponti di barche, come a significare che gli Dei sono a sostegno della guerra e dei romani.
I rilievi della colonna raccontano con dovizia di particolari una storia vera: i riti, siccome i romani erano un popolo particolarmente religioso e scaramantico, o meglio, si spiegavano l’inspiegabile come causa della sorte o delle divinità, ad ogni tappa solevano compiere sacrifici agli Dei; si nota perfettamente anche la caduta di un contadino daciano dal mulo, che i romani interpretarono come presagio di buona riuscita.
Con l’incalzare della narrazione ecco il solenne momento dell’adlocutio, o la marcia delle legioni (uno degli spettacoli più belli dell’antichità), la vita dei legionari e dei barbari (cosa mangiavano, cosa bevevano, come si vestivano, come portavano i capelli).
Attenzione particolare è da riservare alle armi, rappresentate spessissimo sul fregio della colonna: i Daci possedevano le falx, delle lame lunghe e ricurve, la cui particolare forma era strategica, sapeva essere sia offensiva che difensiva; i romani possedevano un arsenale rivoluzionario e spaventoso, come ad esempio il pilum (una sorta di micidiale giavellotto), il gladio, od anche macchine belliche come le catapulte o lo scorpion (di una violenza impressionante).
Altra raffigurazione dal forte impatto visivo è il momento dello scontro tra gli eserciti: la prima battaglia di Tape, culminata nella vittoria romana, raccontata anche con l’immagine dei vincitori mentre mostrano le teste nemiche a Traiano, o dall’imperatore che distribuisce encomi, o da un soldato che gli bacia la mano; il momento delle ‘cure mediche’, importante testimonianza siccome l’esercito romano fu il primo a garantire un’assistenza medica in campo, i medici erano affiancati all’esercito come oggi; il breve lasso di tempo di ‘pace armata’ che conduce alla seconda battaglia, dunque l’assalto violentissimo dei Daci, la risposta dei legionari in marcia verso Sarhizegetusa, capitale della Dacia, qui si nota la peculiare formazione a testuggine, un vero e proprio asso nella manica, con la quale i romani irrompono nella fortezza daciana, perché al variare dell’obiettivo anche le tattiche cambiavano.
Alla fine della seconda campagna di Dacia (siamo quasi alla sommità del fusto della colonna), si collocano illustrazioni di particolare suggestione: tra i romani che raccolgono il bottino, le ricchezze della città nemica, ecco le immagini del suicidio di massa dei Daci, e di quello di Decebalo, re dei Daci, egli braccato dai soldati romani in un bosco e non volendo cadere nelle loro mani da vivo, si dà la morte ai piedi di un albero rivolgendo l’ultimo sguardo fiero al nemico vincitore. La testa di Decebalo, insieme alla sua mano destra, viene portata su uno scudo da due ufficiali romani alle truppe, come a significare che sia la testa (la più micidiale delle armi, da sempre) sia il braccio che guidava l’esercito barbaro non si sono più, dunque è finita. Mentre la Vittoria, ad ali spiegate, scrive su uno scudo i successi di Traiano.
Alla fine dell’esposizione fotografica, questa memorabile storia potrà ad ogni modo contare su una visita al Museo della Civiltà Romana all’Eur che custodisce dei calchi della Colonna, realizzati nel 1861, e disposti uno accanto all’altro, in ordine di narrazione, ad altezza d’uomo. Di certo si perderà la possibilità di una ‘lettura’ perfettamente lineare, ovvero senza interruzioni, ed immersa nel sito naturale della colonna.
Se ogni monumento è letteralmente qualcosa che vuole “manere e monere” , “rimanere ed insegnare” dunque “tramandare”, quindi è già di per sé una testimonianza storica, la Colonna Traiana fa di certo un passo in più portando ‘inciso addosso’ ogni dettaglio della storia da raccontare.
Una storia importantissima, anche se fatta di sanguinaria violenza, che forse in un certo senso ha da insegnare anche qualcos’altro: come non pensare che “combattere per ciò che si vuole” a quei tempi era qualcosa di letterale? Si “combatteva” davvero con tutto se stessi, con la propria stessa vita in gioco in prima linea, e si sapeva bene cosa si voleva, mentre oggi, in un’epoca confusa ed inconcludente che si “arrotola su se stessa” ma solo per crogiolarsi in una “spirale” infinita di vittimismo passivo, quel “combattere per ciò che si vuole” è solo un modo di dire.
[di Redazione]
Il Pensiero di Giovanni Postiglione: Quanto possono ormai servire sussidiari e manuali? Non sarebbe dunque più suggestivo e coinvolgente studiare, leggere, guardare, toccare, ricordare e vivere l’eredità della storia direttamente e finalmente dalla “sua pelle”?