Il Primo maggio: la festa dei lavoratori. Impazza sui social network amaro sarcasmo e rassegnata ironia, “La festa dei lavoratori, un privilegio per pochi intimi” è una delle condivisioni più gettonate. Nella nostra epoca l’unica differenza tra un giorno qualunque ed il Primo maggio è per molti soltanto la soppressione, in via eccezionale per oggi, dei propri programmi televisivi preferiti.
Nel 400 a.C. non c’erano i piloti, non c’erano i web designer, non c’erano gli operatori telefonici. Molte delle invenzioni, aerei, computer, telefono, che hanno portato a queste attività sono nate millenni dopo. ‘Oggi’ ci sono.
Nel 400 a.C. però la mente c’era. C’era Platone e c’era il Pericle e c’era Confucio.
‘Oggi’ molti non sanno altri non possono usare apparecchi, o un bisturi, o un mixer, ma tutti possiamo usare la mente. Ed in quel momento ci rendiamo conto di avere tra le mani “l’invenzione” più vecchia del mondo, e la sua millenaria e celeberrima attività ‘lavorativa’.
Così il riflettere sì che è privilegio di tutti!
C’è bisogno di una rivoluzione. Le più grandi rivoluzioni partono dall’interiorità individuale, partono da un pensiero, da una riflessione, da un’idea.
«Ci manca qualcosa, non ce l’abbiamo», rifletteva ieri Toni Servillo nel suo discorso di ringraziamento per la nomina di cittadino onorario della città di Napoli, «Quand’ero un ragazzino, poco più che adolescente, in quell’epoca in cui un cuore, un’anima, fa un grande sforzo per realizzare un destino individuale, e con rabbia questo sforzo si oppone a tutto quello che tu hai ereditato dalla famiglia, dalla cultura, dalla collettività. Da ragazzino provi questa necessità di liberarti da questo inconscio della famiglia, da tutto ciò che come un’eredità si sedimenta nel tuo cuore e dai cui lacci ti vuoi liberare. E quello che impedisce in questo sforzo uno sviluppo pieno della propria personalità, l’affermazione di un destino personale, è forse la cosa che ci produce la più profonda sofferenza. Questa situazione di un cuore in quell’epoca della vita genera un sentimento molto forte che è il sentimento di una mancanza, ci manca qualcosa, non ce l’abbiamo, ci manca qualcosa. Questo sentimento di mancanza è speculare al desiderio di raggiungere una totalità che ci definisca, che definisca quella forza che noi riconosciamo come ‘destino personale’, quella totalità rispetto alla quale noi sentiamo di essere arrivati a compierci, a sentirci compiuti. Io ad un certo punto di questo momento di marasma della giovinezza ho capito, ho sentito, ho avvertito, che il compimento, che quella totalità, che potevano rispondere a quella mancanza, erano due cose, e sono la stessa cosa: il teatro e Napoli».
Un ottimo spunto riflessivo questo, ponetevi la domanda giusta “Ed io? Qual è quella cosa che sopprimerebbe il mio senso di mancanza e mi renderebbe compiuto, totalizzato?”, fate nascere un’idea, quella più intima e profonda e vera ed eterna… ed incorruttibile, e a qualunque costo cercate, e cercate di trovare la vostra strada (non quella di un altro, non occupate posti che non vi appartengono, non costringete la vostra ‘forma’ ad incastrarsi in uno ‘spazio’ non suo, togliendo di conseguenza quello spazio alla sua forma giusta) per concretizzarla.