La Masa Madre, il pane come simbolo di lotta per un mondo libero dagli schemi che spersonalizzano la naturalezza dell’essere umano
Il pane, alimento originario, sinonimo di semplicità, simbolo nel corso della storia dell’umanità, è il protagonista incorrotto di La Masa Madre, spettacolo teatrale di Dario Menè e Ettore Nigro, con Ettore Nigro.
La Masa Madre nasce dall’intuizione dell’attore Dario Menè che, durante la sua permanenza a Buenos Aires, ha studiato e approfondito il mondo dei fornai porteños e l’uso della pasta madre (’o criscito, lo chiamano i napoletani), lievito naturale che si tramanda di generazione in generazione nelle famiglie dei fornai. Lo spettacolo ha poi raggiunto la sua forma definitiva a Napoli con Ettore Nigro che ha firmato la regia.
Uno spettacolo fortunato che ha girato il mondo e continua a farlo: da Napoli a Padova, da Parigi a Witten a Madrid, da Zurigo a Caracas al Festival internazionale di Bogotà, fino all’Expo di Milano (lo spettacolo è stato scelto da Legambiente e Coldiretti della regione Veneto per la lotta contro il biocidio e da Expo Milano 2016 – Padiglione Kip International School come esempio di sviluppo all’interno della tematica “Nutrire il Pianeta”). Infine ma non ultime, le repliche appena concluse presso il Teatro Spazio Libero (vero e proprio centro di sperimentazione teatrale, storica cantina culla del teatro di avanguardia anni 70 – 80 a Napoli), che hanno visto la partecipazione dell’attrice Anna Bocchino, per l’occasione in qualità di tecnico audio-luci.
In La Masa Madre Ettore Nigro è Sante, ma anche io narrante, e non interprete di un solo “io” ma di tutti i personaggi. Vestito dello stesso colore puro ed incontaminato della sua farina, Sante è un fornaio sognatore che lotta al grido di “Pane per tutti” per mantenere viva la libertà e la pasta madre che ha ereditato dal nonno fornaio. Come tutti coloro che inseguono un ideale, Sante si trova a fronteggiare non poche difficoltà. La prima è il contrasto familiare tra padre e figlio, un padre che invita a pensare al guadagno economico, che insegna il consumismo, un padre che è metafora della mancanza di una sana eredità, di un vuoto sociale che ha finito per essere colmato dal dare un prezzo a tutto e un valore a niente, per avere fede nel Dio danaro che il pane lo distribuisce per soldi, per profitto, per convenienza, un pane fatto in fretta col bromato di potassio invece che col lievito madre, un pane che infine ha sacrificato la parte più sana, ricca e bella di sé.
Ma Sante non si lascia corrompere, con un atto d’amore e coraggio decide di partire, di attraversare il mare, di andare oltre oceano, lasciare la famiglia, staccarsi, emanciparsi, elevarsi da tutte quelle ideologie che gli erano state inculcate da ragazzo e prendere in mano la sua vita, per il suo sogno. Il fornaio quindi arriva in Argentina e inizia a lavorare in un panificio. Ormai “panadero” si ritrova però ad essere schiacciato da nuovi schemi, perché ogni realtà ne ha, per raggiungere la purezza e la libertà non basta cambiare paese, c’è bisogno di cambiare le persone e la società tutta, dall’interno, come lui stesso griderà. Così il protagonista dopo essersi inizialmente adattato pur di trovare lavoro, usando il lievito chimico per fare il pane, compie un atto di resistenza alimentare, si oppone alla meccanizzazione della fabbrica, ai metodi di produzione standardizzati, lotta con i suoi compagni per salvaguardare la naturalezza del pane e distribuirlo a tutti, segnando in tal modo la storia politica e gastronomica dell’Argentina. Sante morirà per il suo ideale, il monito “Non hai saputo aspettare”, infine, insegna il valore dell’attesa, delle cose fatte senza fretta, con senno, nei tempi giusti, proprio come il lievito madre!
In La Masa Madre il pane risulta essere simbolo di messaggi universali e sempre attuali: il pane è il valore dell’attesa; il pane è il rifiuto della manipolazione dei cibi e dell’essere umano; il pane è monito politico, è il diritto inalienabile alla libertà, il diritto ad accedere a beni primari che nessuno può né deve negare, a tal proposito la scelta di interagire con il pubblico al quale, durante lo spettacolo, vengono distribuiti dallo stesso attore recitante tozzi di pane che fanno crescere la consapevolezza di tali diritti e il senso critico e di rivoluzione contro le ingiustizie, o la pasta madre perché toccare la pasta, regalare il lievito madre, è come dare un seme ad ognuno per la rivoluzione, passarsi il testimone, fare gruppo dal singolo, il pane quindi come seme per una rivoluzione che deve partire da ogni persona, dal suo interno, per cambiare il mondo perchè il mondo siamo noi; il pane buono e semplice come un’emozione, quindi l’escamotage quasi cinematografico di un finale affidato al flash back dove si rivivono i momenti salienti della storia e inevitabilmente si attivano i canali emotivi; infine il pane che è arte, è amore, è teatro, è bellezza, è tutte quelle cose che spesso vengono sacrificate a favore solo di un profitto economico, difatti «Seppure ci fosse stata una sola persona in platea, io sarei andato in scena!», dichiara in un dibattito post-rappresentazione Ettore Nigro, a dimostrazione di un teatro “a lievitazione naturale” che si fa (e soprattutto si dovrebbe fare! Ndr) per arte, non per soldi.
Direbbe Fellini “Nei tempi andati l’ideale dell’uomo era la virtù pura e semplice e per questo fiorivano le arti. Invece noi… Da cosa è provocata questa svalutazione? Dalla brama del danaro. Non ti meravigliare se per noi c’è più bellezza in un mucchio di oro che nelle opere di Apollo o di Fidia, e non c’è più Amore!”.
crediti:
scene Armando Alovisi
costumi Patrizia Visone per Vitrizia
grafica Luca Serafino
foto Roberta Mazzone
[di Flavia Tartaglia]