Finalmente sul palco la grande storia d’amore che ha segnato la vita del pittore austriaco
Articolo di Magdalena Sanges
Dopo aver debuttato a settembre, con grande successo, nell’ambito del Festival Vissidarte, torna domani al teatro Tram di Port’Alba “La sposa del vento“, per la regia di Andrea Vellotti. Un intero weekend quindi, dal 23 al 25 novembre, per poter conoscere la vita e il grande amore del pittore e drammaturgo austriaco Oskar Kokoschka. Lo spettacolo nasce da un progetto del teatro Tram e il Festival Vissidarte, che lo scorso anno hanno indetto il premio drammaturgia “Parole d’arte”, premio vinto da Sergio Casesi e il suo “La sposa del vento”. La scelta del regista è poi ricaduta, tramite un workshop, sul talentuoso Andrea Vellotti, diplomato all’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma e parte del Nest, Napoli Est Teatro.
Vissidarte è un festival che ogni anno mette in scena spettacoli e organizza eventi e laboratori legati da un unico filo comune: portare sul palco la vita e le opere di grandi pittori della storia dell’arte. “La sposa del vento” di Casesi narra infatti dell’amore di Oskar Kokoscha per Alma. Un amore ossessivo, fatto di gelosie e continui scontri, che porterà Alma a lasciare il pittore. Da quel momento inizierà per Kokoschka un periodo buio, nemmeno la Grande Guerra che incombe riuscirà a distrarlo dal suo tormento. Il suo conforto è l’arte, unico modo per sopravvivere.
Abbiamo avuto il piacere di porre qualche domanda al regista de “La sposa del vento“, Andrea Vellotti, in merito allo spettacolo e al suo rapporto con Casesi e naturalmente con la vita di Kokoschka e la sua visione ossessiva sull’amore:
Come è nata la collaborazione con lei e Casesi, l’autore?
La collaborazione è nata con la vittoria di due bandi, di drammaturgia e regia, il primo vinto da Sergio con il suo testo “La sposa del vento” e il secondo da me per il progetto di messinscena del testo precedentemente citato.
È stato quindi il fato che ha creato un’occasione di conoscenza e confronto e che ha portato alla realizzazione dello spettacolo. Quale scelta registica caratterizza il suo lavoro con la materia trattata?
Il testo può essere identificato nel genere di teatro di parola, io ho provato ad aggiungere un panorama di immagini ed emozioni che potessero muovere il sentire dei personaggi e degli spettatori non solo attraverso l’oralità ma anche con gesti, respiri, contatti, sguardi. Il mio intento è stato quello di dare fisicità al testo, renderlo carne viva e staccarlo dalla pagina. Portare in scena il cuore e lo stomaco di Oskar e mostrare la sua forza e le sue fragilità. Per fare ciò ho deciso di non utilizzare una bambola di pezza ma un’attrice che interpretasse la bambola, per rendere ancora più vera e intensa la storia d’amore e per poter rendere vive tutte le emozioni di Oskar e non citarle soltanto.
Raccontare la vita di un artista le ha posto dei condizionamenti, dal punto di vista registico? L’opera di Oskar Kokoschka le è venuta in qualche modo in aiuto o le ha imposto dei limiti?
Mettere in scena un personaggio realmente esistito ti pone sempre di fronte a una responsabilità che è quella di non tradire la sua storia. “Condizionamenti” non ce ne sono stati, se a questa parola si vuol dare un’accezione negativa; bensì spunti e scintille creative. Inoltre è imprescindibile non partire dall’arte pittorica di Kokoschka e dalla sua “lotta” espressiva che ne hanno fatto una mosca bianca dell’espressionismo austriaco ed europeo. L’Arte, quella con la A maiuscola, non ha limiti e non ne impone ma è un infinito da esplorare e da cui poter bere senza riuscire a dissetarsi mai.
Quanto l’ossessione d’amore di Kokoschka è, in qualche modo, paragonabile a quella di uomini che, in questi giorni, affollano purtroppo le pagine di cronaca nera, arrivando ad uccidere le donne per le quali provano un senso di morboso possesso?
Se si osserva analiticamente lo spettacolo e la vicenda di cui tratta, potrebbe esserci una vicinanza ma io non credo che la qualità dell’amore di Kokoschka e il modo in cui la esprime, siano paragonabili a un’ossessione malata e violenta. È presente un desiderio d’amore, di amare e di essere amati, una tenerezza, una fanciullezza che non portano la mente di chi guarda a casi di cronaca attuali e purtroppo molto frequenti. Quella di Oskar è un’astrazione, una idolatria che quando giunge al termine del suo percorso, quando si compie definitivamente e completamente, non ha più ragione di esistere.
Se dovesse in sole tre parole sintetizzare lo spettacolo, quali sceglierebbe?
Una domanda a cui è difficilissimo se non impossibile dare una risposta… Amore; Soffio; Lotta.
[di Magdalena Sanges]