L’eclettica regista campana Stefania Spanò racconta Alla corte d’o’rre piccerillo
Articolo di Antonio Mastrogiacomo
Stefania Spanò è una giovane e poliedrica artista napoletana puro sangue al debutto in qualità di regista con Alla corte d’o’rre piccerillo – di scena i prossimi 13, 14 e 15 ottobre al Nuovo teatro Sancarluccio.
«Lo spettacolo nasce dall’esigenza di approfondire i moduli del racconto orale con linguaggi differenti: il mimo, la pantomima, la lingua dei segni, il racconto vocale. Da Ulisse a Edipo, la storia della letteratura pullula di personaggi che sembrano non sapere chi sono finché non si imbattono nel racconto della loro storia. Come in un impossibile gioco di specchi il sé è qui il narratore e l’ascoltatore, l’attore e lo spettatore in una sola persona», afferma l’artista.
«La coperta di Zazzà è un luogo di incontri in cui riconoscersi e di attese in cui nascondersi e trasformarsi per riappropriarsi di quella dimensione extra-quotidiana in cui le cose valgono sia per il dritto che per il rovescio: la scena come luogo di possibilità” – racconta Stefania Spanò, aggiungendo: “Ognuno ha qualche possibilità da difendere anche se non sa quale sia o non lo ricorda più. Antonin Artaud a teatro difendeva la possibilità di essere demente. Tristano Martinelli ha recitato il servo per non essere servo. La poetica di un’artista è il suo personale cammino in difesa della possibilità e dunque una continua tensione verso la libertà», continua la Spanò.
Stefania Spanò offre una chiacchierata assolutamente non parca di riferimenti, di spunti e di riflessioni che contestualizzano l’azione drammaturgica di tutta la sua compagnia: «A noi non interessa il naturalismo a teatro, non vogliamo imitare o rappresentare la realtà che ci circonda per offrirne una qualche chiave di lettura. Crediamo più urgente ed attuale giocare con i tipi umani universali e smitizzarli, farli a pezzi, alla ricerca di forme nuove e grottesche, di corpi anti-istituzionali che diano voce e carne all’unicum uomo/mondo, che lo ricolleghino alle sue funzioni vitali, al dialogo con la natura e col vivente, con l’altro».
Si tratta di una scelta abbastanza determinata ed assolutamente in controtendenza rispetto alla produzione culturale contemporanea, soprattutto dei media audiovisivi la cui ricezione nella distrazione rappresenta un anestetizzante molto forte se somministrato per il puro intrattenimento.
In ultima battuta: «Sono un’artista molto determinata nel ricucire lo strappo che si è consumato col pubblico nella sala teatrale grazie una recitazione che sappia relazionarsi interrogandolo e non semplicemente lasciandolo sullo sfondo. Inoltre, ho dovuto farmi da sola e questo mi ha permesso di crescere e rendere visibile come solo l’eterogeneità possa rappresentare la chiave di volta per riscrivere le condizioni della professione artistica».
[Antonio Mastrogiacomo]