L’opera d’arte è una creazione del suo maestro che ne è dunque demiurgo, oppure già esiste, come in una sorta di platonico ‘mondo delle idee’ dove colui che sappiamo esserne l’artista altro non è che un interprete? Il ruolo dell’autore riguardo all’opera non è questione nuova, nella letteratura, ad esempio, Pirandello in Sei personaggi in cerca d’autore ne stravolge la funzione in colui che in un certo modo è costretto piuttosto a ‘seguire’ le creazioni, in quel caso i personaggi.
Giulio Paolini, uno dei più noti artisti di arte povera e concettuale, riflette su questo genere di tematica proponendone una mostra che prende il titolo dal dilemma per antonomasia, seppur in questo caso traslato, “Essere o non essere”.
Questa amletica domanda nella mente di Paolini si riferisce «ai tempi incerti in cui viviamo», spiega Bartolomeo Pietromarchi, il curatore, dove l’artista, in rapporto con la sua opera d’arte, si interroga sul suo ruolo rispetto ad essa, sulle dinamiche della produzione, sui meccanismi della fruizione, e di essa non ha nulla da dichiarare o partorire ma è uno spettatore che attende solo la messa in scena di lavori che ritiene nati spontaneamente seppur ‘suoi’.
L’esposizione si dipana lungo le cinque stanze della Sala Bianca del MACRO, Roma, spazi disseminati di elementi distintivi di Paolini, come cavalletti, matite, fogli, sedie, cornici, tessuti, fotografie, collages, istallazioni complesse, in fondo tutti simboli, spunti che accompagnano il visitatore nell’interpretazione riflessiva e che nascondono la presenza/assente dell’artista, come accade per la prima opera introduttiva del percorso espositivo, Delfo IV.
“Essere o non essere” consta di poco più di una decina di opere che coprono l’arco di tempo dal 1987 al 2013, anno rappresentato da L’autore che credeva di esistere – sipario: buio in sala, lavoro inedito, realizzato appositamente per l’evento del MACRO.
Sarà possibile chiedersi se “Essere o non essere” fino al 9 marzo, o fino a luglio poiché la mostra, in una rielaborata veste, proseguirà alla Whitechapel Gallery di Londra, già collaboratrice della monografia romana.