Devastate da miliziani dell’ISIS un gran numero di statue assiro-babilonesi, continua la barbarie e le razzie contro l’arte e le sue forme. L’indignazione e le responsabilità dell’occidente.
MOSUL – Stanno girando in rete video di miliziani del gruppo terroristico dell’ISIS intenti a devastare a picconate e martellate le preziose statue di epoca assiro-babilonese esposte nel museo di Mosul in Iraq. Sgomento e indignazione in rete per quest’atto ignobile e scriteriato che grida vendetta di fronte all’opinione pubblica internazionale. Tante le dichiarazioni che fanno da contraltare al silenzio della classe politica ed economica dirigente nei paesi occidentali. Un silenzio angusto e deplorevole che stupisce e ferisce ancor più di quelle stesse immagini.
Concentrarsi contro gli autori del gesto in un certo senso può finire per divenire un atto stucchevole e scontato. Per gli autori di certe azioni non c’è definizione. Ci vengono in soccorso le parole che Giorgio Gaber usava contro il terroristi degli anni ottanta definiti gli innominali; l’autore milanese scriveva:
«Ecco la differenza che c’è tra noi e gli innominabili: di noi posso parlare perché so chi siamo e forse facciamo più schifo che spavento. Di fronte al terrorismo o a chi si uccide c’è solo lo sgomento».
IL VUOTO D’ARTE – La barbarie ha sempre radici più lontane del dito che la indica, per cui superiamo lo sgomento ed accogliamo l’invito del maestro e parliamo di noi. È un atto dovuto alle pagine bruciate della biblioteca d’Alessandria che ancora fumano nel vuoto della storia; alle righe dissolte dall’oscurantismo ecclesiale che ha dissolto ingenti fette del patrimonio culturale occidentale; a quelle persone che hanno dato la vita per un sogno di libertà e di rispetto della storia. Chiediamoci quindi perché quei signori che nei paesi occidentali detengono il potere, in tutte le sue declinazioni, fanno atto di silenzio su questi fatti catastrofici per il sostegno alla cultura e al patrimonio artistico. La risposta può assumere varie forme e abbracciare vari aspetti. I più attenti risponderanno che quegli stessi gruppi terroristici sono diretti, finanziati e sostenuti dalle grandi potenze occidentali. Per evitare di addentrarci in valutazioni meramente politiche possiamo affrontare un altro aspetto: come possiamo pretendere dai responsabili di disastri artistico-culturali (uno su tutti è il caso Pompei) una dichiarazione di indignazione su questi fatti? C’è differenza tra chi lascia Pompei nel degrado e nella distruzione da chi prende in mano un martello per distruggere una statua babilonese? La risposta, a parità di uguaglianza di risultati (la devastazione dei patrimoni storico-artistici), è ovviamente negativa.
DALL’INDIGNAZIONE AL RISCATTO – Nasce un moto di indignazione che grida vendetta verso tutti questi atti di vilipendio al patrimonio artistico. Ma come trasformare l’indignazione in azione? Come riscattare le offese subite dai patrimoni artistici vilipesi dalla politica e dalla religione? Avvalendosi di tecnici e armati di volontà e partecipazione. Sempre più uomini e donne in giro per il mondo stanno mettendo un argine a questo declino. Restauri di opere storiche, fontane, muri o edifici sembrano gocce nel mare, se prese singolarmente, ma compongono un mosaico di esempi da seguire. È nel popolo che nasce la sensibilità e la difesa dell’arte e della sua fondamentale importanza per l’identità dell’umanità. È questo l’obiettivo che quei terroristi nel lontano Iraq si sono posti, distruggere un’identità. L’unica risposta concreta è la mobilitazione intellettuale e degli intellettuali.
Chi sia il vero intellettuale e quale sia il suo ruolo ce lo spiega bene Antonio Gramsci nei suoi “Quaderni”:
«Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare […]Il tipo tradizionale e volgarizzato dell’intellettuale è dato dal letterato, dal filosofo, dall’artista […]Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, “persuasore permanentemente” perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane “specialista” e non si diventa “dirigente” (specialista + politico)».