Mistero e Dramma psicologico, un insieme di suggestioni per un classico del giallo
Il 28 e 29 novembre lo spettacolo “Luce Nera” ha replicato al Teatro il Pozzo e il Pendolo (Napoli), in scena: Titti Nuzzolese, Bruno Tramice, Antonio D’Avino, Clara Bocchino e la regia di Mirko Di Martino.
Il ‘thriller vittoriano’ non poteva essere ambientato in un luogo più adatto, difatti il teatro del Pozzo e il Pendolo ha un’atmosfera noir che porta un po’ indietro nel tempo e ben si addice alla rappresentazione di un’opera a tinte scure, scritta agli inizi del ‘900 e ambientata nel 1800.
Inizialmente l’opera porta a pensare alla presenza dell’elemento sovrannaturale, grazie alla giusta musica, al buio assoluto e gli inquietanti rumori provenienti dalla soffitta. Tutto è ben percepito dallo spettatore seduto a pochi passi dal palco.
Luce Nera unisce il giallo al dramma psicologico, nello specifico la violenza domestica. Quando si comprende che il vero filo conduttore non è la presenza di un qualche fantasma quanto la pressione di Gregory (Bruno Tramice) su Paula (Titti Nuzzolese), certamente la tensione non cala ma, semmai, cresce.
Fondamentale l’atmosfera borghese. Gregory ha effettuato quasi una scalata sociale sposando Paula, giunto finalmente nel suo ruolo si permette di trattare male i domestici gongolando per il suo status. Arrampicatore e attento manipolatore, capace di schernire e insieme fingere compassione, convince pian piano la moglie di non avere qualità, denigrandola riguardo l’aspetto e le capacità intellettive, fino ad arrivare alla cattiva gestione della casa. Elemento non da poco in un ambiente per l’appunto borghese in cui la donna assume la propria indipendenza proprio nel suo ruolo di padrona della casa. Afferma Mirko Di Martino: «Gregory sceglie volontariamente di infantilizzarla, negarle la sua dignità, anche il non farle accendere la luce è toglierle il ruolo, schiacciarla».
Importante anche il personaggio della cameriera Nancy (Clara Bocchino), all’apparenza frivola e disprezzante la padrona. Va poi rivalutata al finire della rappresentazione, in cui mostra di essere una donna forte, capace di rivedere le proprie opinioni e vendicarsi schernendo Gregory, disattendendo le sue numerose avances e aiutando nel suo arresto.
Nell’essere continuamente umiliata e schernita, Paula perde la cognizione di se stessa e si convince di ciò che il marito vuole farle credere, ovvero che, oltre che priva di qualità, è anche pazza. Obnubilata dai ricordi di quando il loro rapporto era felice, illusa dall’apparenza composta del marito, perde fiducia in sé e ignora volontariamente la verità che le si presenta davanti.
Quando l’ispettore Cameron (Antonio D’Avino) le apre gli occhi, Paula comincia a vedere il marito per com’è davvero. Gregory torna a casa sfatto e ubriaco: finalmente la sua rappresentazione esteriore ne rispecchia l’interiorità. Sarà poi lei stessa a decidere di trovare la forza per credere in sé e rialzarsi. Scena topica è quando Paula, che nelle sue crisi disegnava piccole celle sulle mura (a simboleggiare la sua prigionia interiore), getta via con rabbia il gessetto. È qui che comincia la sua rinascita.
Rappresentato da attori che rendono perfettamente e credibilmente i propri ruoli, diretto da un’abile regia e un sapiente gioco di luci e ombre, questo classico del thriller dà un messaggio sempre vivo, mai da dimenticare. Specifica Di Martino, «L’intervento di polizia è secondario, è lei che deve fare questa presa di coscienza. Non viene solo salvata. La scena finale è fondamentale, altrimenti sarebbe stata solo la vittima».
[di Francesca Lomasto]