In Leggende napoletane Matilde Serao passava in rassegna tutte le leggende più interessanti legate alla città di Napoli, dalle sue origini, fino alle più antiche superstizioni degli abitanti del capoluogo campano.
Durante la mostra Nel ventre di Napoli tra miti e leggende, che si è conclusa oggi al Castel dell’Ovo, sono state appunto esposte opere ispirate in parte ai miti analizzati dalla scrittrice, in parte ad altre credenze diffuse nel napoletano.
Primo tra tutti, vista la location, il mito dell’uovo, sul quale si hanno molte versioni. Una della più note è quella secondo la quale il poeta Virgilio, credendo che l’uovo ricevuto da tre imbroglioni fosse davvero magico, lo fece murare nelle fondamenta del castello (chiamato poi per questo motivo “dell’ovo”). La rottura dell’uovo avrebbe causato il crollo dell’intera città negli abissi del mare.
Non poteva mancare poi ovviamente la leggenda di Partenope, la sirena rifiutata da Ulisse, che distrutta dal dolore si lasciò morire sull’antico isolotto di Megaride, dove oggi sorge il Castel dell’Ovo. Secondo Matilde Serao Partenope non ci ha mai abbandonato, ma vive in tutto ciò che di bello regna a Napoli: gli scogli, il sole, il riflesso delle stelle e della luna nel mare, ella non è altro che l’amore puro, se teniamo anche conto di un altro mito che la riguarda. Seguendo infatti la già citata raccolta di leggende, Parthenope era una bellissima fanciulla greca innamorata di Cimone. Il loro amore però era contrastato dai genitori della ragazza che l’avevano promessa in sposa ad un altro uomo. I due giovani allora scapparono e arrivarono con la loro barca sulle coste di Napoli, dove poterono finalmente vivere sereni la loro storia d’amore.
Rappresentative a tal proposito le opere in marmo di Campitelli e Sammarco, che riproducono rispettivamente lo scoglio sul quale fu ritrovata la sirena e l’uovo del mito di Virgilio, poste proprio al centro della sala d’ingresso della mostra, sulle terrazze del castello, un po’ per introdurre quello che è stato il tema dell’esposizione.
Interessanti anche le installazioni realizzate da Dario de Franco. Sculture in carta, i cui lunghi fili ritagliati a mano rappresentano le radici dei miti legati al terreno napoletano.
Una delle installazioni raffigura o’munaciello, altra figura che fa parte della superstizione partenopea.
La leggenda narra dell’amore contrastato tra la figlia di un ricco mercante e un semplice garzone. Il padre della giovane, contrario a questo legame, probabilmente uccise il giovane che fu trovato morto nel luogo dove era solito incontrare di nascosto la sua amata. La fanciulla allora si rinchiuse in convento, dove diede alla luce un piccolo deforme, per il quale le monache cucirono delle tuniche che coprissero i suoi difetti fisici. Da questo suo strano abbigliamento deriva il nome “munaciello” attribuitogli dalla popolazione.
Gli abitanti di Napoli conoscono però anche altre versioni di questa storia. Per alcuni infatti il munaciello era un gestore dei pozzi d’acqua, che quando non veniva pagato per i suoi servigi si introduceva nelle case dei suoi clienti per fare dispetti.
Secondo i più superstiziosi invece il piccolo nano deforme nascosto nel suo cappuccio era un essere demoniaco, che offriva denaro alle persone per ottenere in cambio le loro anime. Ancora oggi infatti soprattutto tra i più anziani, quando si trovano per caso monete nelle proprie abitazioni si usa dire: “É stato o’munaciello”.
Non sono mancate poi alcune opere di denuncia sociale, effettuata sempre però attraverso i simboli della cultura napoletana. Interessante ad esempio il quadro di Maria Bellucci, col sangue di San Gennaro che scorre a rappresentare le vittime della camorra.
Tutti lavori di artisti contemporanei quindi esposti durante questa affascinante mostra che come ha spiegato Giovanna D’Amodio, curatrice del progetto e presidente dell’associazione Arteggiando, ha avuto uno scopo didattico. L’intenzione è stata infatti quella di far conoscere le origini della città di Napoli nel resto d’Italia e del mondo.
Effettivamente le opere presentate non sono state realizzate solo da artisti campani, ma di tutta la penisola, nonchè stranieri. Presenti infatti anche alcuni lavori di Krayem Awad, famoso pittore austriaco.
Le leggende fanno parte del patrimonio orale di un paese, esse vengono tramandate da sempre a voce di generazione in generazione. Certo esistono raccolte scritte dei miti partenopei, ma è altrettanto bello vederli rivivere nella pittura e nella scultura, soprattutto in opere di artisti della nostra epoca, così lontana ormai dalle credenze popolari di un tempo. Una Napoli quindi sventrata, esaminata fino alle radici di una cultura tanto vasta quanto spesso poco conosciuta dai più giovani.
-Magdalena Sanges-