Nuova Gianturco, di Francesco Di Bella, si presenta al pubblico introdotto da un interessante dibattito.
Nuova Gianturco, primo album solista di Francesco Di Bella, ex voce dei 24 grana e dei Ballads Cafè, è stato presentato il 27 ottobre alla Feltrinelli di Napoli (via Santa Caterina a Chiaia). Prima di suonare quattro brani inediti del nuovo disco, il cantante dialoga con Federico Vacalebre, giornalista musicale e, inaspettatamente, con lo scrittore Angelo Petrella, chiamato a sorpresa per intervenire.
Nuova Gianturco si presenta al pubblico introdotto da un interessante dibattito. Le questioni in gioco sono tante e si rifanno tutte al contenuto stesso dell’album. Vi sono una visione forse più matura da parte dell’artista e tematiche strettamente connesse all’attualità, soprattutto quella napoletana. Da questa “nuova” periferia possono fiorire molti progetti, può esservi molto spazio per chi cresce e vi vive.
Particolare attenzione è data a “Brigante si more”, canzone ormai cult fra quelle popolari, scritta da Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò negli anni ’70, rifatta da Di Bella con Dario Sansone dei Foja e Claudio “Gnut” Domestico. La melodia è la stessa, cambia vagamente il testo, benché non ne esca snaturato. È una cover matura per i nostri tempi; fra le diversità: non più “nun ce ne fotte do rre burbone” bensì “do rre padrone”!
Come specifica Vacalebre: «Francesco ha fatto scomparire i Borbone. Ci sono troppi neoborbonici, qualsiasi nostalgia ci porta lontano dall’oggi e Briganti si more racconta lo sterminio dei ribelli senza causa né pausa. Non erano meglio o peggio ma erano quelli scamazzati dalla storia. Fabrizio De Andrè ci ha insegnato che puoi stare da quella parte anche quando quella parte non ha necessariamente ragione».
Una musica familiare e anche molto contemporanea quella di Francesco Di Bella che, come specifica Vacalebre, ha “somatizzato l’esperienza con la band”. Quasi imbarazzato, crea subito un’atmosfera familiare, come stesse esibendosi per degli amici. Di lui, l’amico Angelo Petrella dice: «ho avuto il piacere di conoscerlo a venti anni e diventarne amico in seguito, la sua musica mi ha accompagnato in tutti i libri che ho scritto. Vedo riflessi alcuni modi di leggere la realtà che io e alcuni scrittori contemporanei condividiamo. È il disco più bello che Francesco abbia scritto».
La periferia, dunque, raccontata non con un lamento ma con una concreta speranza, forse anche con una traccia di nostalgia. Di Bella si riafferma più che mai in quest’album come un singer song writer, con un ritorno alla canzone impegnata (intesa nel miglior senso possibile) e degnamente interpretata. Conclude l’artista: «è forse un pretesto per parlare di tutte le periferie. Prima non c’erano orari, i bagni non erano attrezzati, c’era solo birra calda, però si pensava che tutto fosse possibile. Non è facile oggi presentarsi da cantautori con un argomento che vuole risvegliare un dibattito».
[di Francesca Lomasto]