Antonio Rezza e Flavia Mastrella, il binomio che porta la performance art al teatro e al cinema da oltre vent’anni.
Il nome di Antonio Rezza, classe 1965, è spesso affiancato da quello di Flavia Mastrella, una scultrice che, come ha dichiarato l’artista in un’intervista, ha fortemente plasmato il suo modo di agire nelle performance e nel teatro in generale: “Ho troppa pelle. Andava deformata e io l’accorciavo, davanti allo specchio. Facevo un sacco di smorfie. […] La genesi del lavoro me l’ha suggerita Flavia Mastrella: esprimersi con alcune parti del corpo, incorniciando o escludendo il viso con dei passepartout”.
Antonio Rezza non è un artista con cui poter avere a che fare solo al teatro: la letteratura e il cinema sono altri mondi che abita. Punto di partenza dei suoi lavori sono spesso piccoli e grandi elementi della vita quotidiana. Ne “Il telefonetto”, 1995, il telefono viene trattato come uno strumento indiretto, utile agli ipocriti della dialettica.
“Pitecus”, spettacolo teatrale annoverato tra le performance portate in scena con la Mastrella, è nato dalla mancata tesi in Storia del cristianesimo di Rezza. Lo studio avrebbe dovuto vertere sul significato clientelare della preghiera, partendo dal momento in cui il fedele chiede a Dio dei benefici in stile quasi camorristico.
Aldilà dei suoi testi, è difficile rintracciare frammenti in cui Rezza parla apertamente di sé o del suo modo di fare arte. È certo, però, che si tratta di performance indissolubili dalla sua persona e dalla sua psicologia, come egli ha dichiarato in un’intervista visibile su youtube: “Penso che la performance sia qualcosa che abbia a che fare anche con difficoltà psicologiche” – dunque, chiede l’intervistatrice Antonella Prigioni: siamo tutti performer? “Sicuramente. Però non sappiamo che lo siamo. Quindi la differenza tra chi lo è e chi lo è senza saperlo è che chi lo sa riesce ad andare in scena con le sue patologie, invece chi non lo sa ha solo le patologie”.
[di Ambra Benvenuto]