Dalla Norvegia l’artista napoletano che ha girato mezza Europa ci racconta la sua vita, la sua denuncia, la sua arte.
L’ARTISTA – Ironia, denuncia e ambientazione decadente sono i punti cardine della produzione artistica di Raffaele Attanasio, artista napoletano di arte contemporanea che da sempre sperimenta le potenzialità espressive della grafica 3D donandole connotati figurativi che richiamano al passato, ma con i piedi ben saldi nel panorama artistico contemporaneo. Diplomato al liceo artistico e laureato in architettura allestisce la prima mostra personale a 30 anni, di sé racconta: «Sin dall’inizio ho cercato di combinare le tecniche tradizionali di figurazione con il computer. Macino quello di cui faccio esperienza e cerco di restituirlo con delle immagini. Credo che sia ciò che fa ogni pittore. Cerco di evitare le “belle immagini”, non sono sicuro che l’arte debba essere consolatoria o rassicurante. Mi ritengo irresponsabile ed immaturo, forse più immaturo che irresponsabile. Direi che nessuno può evitare di “essere contemporaneo” ma la contemporaneità si basa sui vari patrimoni del passato. Coloro che sono venuti prima ci parlano e noi abbiamo la responsabilità di fare nostri quegli insegnamenti o di rinnegarli dopo averli esperiti».
LE OPERE – Un mondo fiabesco e crudo allo stesso tempo – fatto di strappi, crepe, decadenza civile, umana e intellettuale – fa da tappeto a storie ironiche e paradossali in cui l’umano viene sovvertito e spersonalizzato dalla macchina. La macchina è l’arte nelle opere di Attanasio, l’uomo invece è goffo, incerto e nascosto dietro il metallo. Tra le sue opere una in particolare rappresenta a pieno il suo mondo immaginifico: «La serie elementi di biomeccanica per me è molto significativa sia dal punto di vista tecnico, che può anche significare poco, che per il valore emotivo che per me rappresenta. Ma ci sono altri lavori forse meno riusciti tecnicamente ma ai quali sono molto legato, tipo quello in cui una donna ha bocche sparse per tutto il corpo. Si trattava di rappresentare la solitudine. Chi vorrebbe avere a che fare con lei?».
LA TECNICA – Ci si rende conto della difficoltà realizzativa di queste opere anche solo ascoltando le parole del suo creatore, che ci descrive la tecnica creativa: «Prima comincio con degli schizzi di studio che poi diventano disegni che assemblo per la lavorazione in 3D. C’è una parte del tutto virtuale ma rigorosamente progettata nei minimi dettagli. Da questa fusione tra architetture progettate nello spazio virtuale e personaggi combinati con tecniche anche tradizionali cerco di esaltarne le tensioni e scattare queste foto da un mondo su(b)reale, definizione di mia moglie, in cui si muovono i personaggi».
DA NAPOLI A OSLO – In questo momento Attanasio vive a Oslo, nella capitale norvegese la pax creativa si rifocilla e i movimenti che maturano nella mente di un artista si consolidano sotto una luce nuova: «Napoli mi fa sentire incerto ed inquieto, il mio trasferimento ad Oslo purtroppo è una questione non relativa al lavoro o al guadagno economico. Qui c’è un certo fermento. Molti musei ed istituzioni sia pubbliche che sponsorizzate da colossi privati. Un certo numero di gallerie e lo stato aiutano gli artisti con dei fondi ad hoc. Il governo promuove gli artisti norvegesi all’estero ma anche gli stranieri sul territorio nazionale. Ovviamente è un mercato piccolo. Ma è pur sempre il paese occidentale col PIL pro capite più alto del mondo. In Italia siamo in un momento molto difficile della nostra storia e purtroppo non si vede un movimento artistico contrappositivo a questo stato di cose. Quando la società, con tutte le sue contraddizioni, tende al miglioramento od anche ad una presa di coscienza rispetto a determinati fenomeni allora anche l’arte fiorisce. Ho stretto dei rapporti con molti artisti da vari paesi d’Europa e con alcuni curatori. Uno di questi mi ha commissionato un lavoro. Ho girato abbastanza in Europa e credo che soprattutto in Germania abbiano un grande interesse per l’arte, indipendentemente dalle quotazioni dell’artista che ha prodotto il lavoro. Qui forse mostrerò qualche lavoro ad uno o due curatori».