Approfondimento e intervista alla Compagnia Ri.Te.Na. Teatro: “Siamo uniti dalla stessa energia artistica”
Sold out per ‘E Ssanzare, drammaturgia e regia di Fabio Di Gesto, con Francesca Morgante, Maria Claudia Pesapane, Luca Lombardi. Lo spettacolo teatrale ha debuttato nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia, presso il Giardino Romantico di Palazzo Reale, il 17 (prova aperta) e il 18 luglio, ed è liberamente ispirato a Il Malinteso di Albert Camus, dramma a sua volta ispirato a un fatto di cronaca avvenuto nel 1935.
L’opera di Camus, cupa e tragica, scarsamente ripresa sulle scene di tutta Europa, ha invece catturato l’attenzione del geniale drammaturgo e regista napoletano che ha scelto di sondare proprio questo rapporto Madre/Figlia per concludere la sua trilogia sul tema della femminilità irrisolta. ‘E Ssanzare infatti concentra l’attenzione sull’ultima parte del testo di Camus: Madre e Figlia si guadagnano da vivere come “sanzare”, in una Napoli materiale, aspra e plebea affittano le camere di un albergo a turisti che provengono da lontano per poi uccidere i malcapitati con l’obiettivo di depredarli delle loro ricchezze e racimolare così quanti più soldi possibile per ricominciare una nuova vita in un luogo lontano, desiderio comune, almeno inizialmente. Hanno da poco meno di un mese ucciso l’ultimo turista e compreso la sua vera identità, l’uomo, il Cadavere, è il figlio. La Madre è disperata, non riesce a farsene una ragione, non riesce a pensare di non aver riconosciuto il figlio e di averlo ammazzato, oppure non se lo perdona (anche il testo di Fabio Di Gesto è d’altronde un grosso “Malinteso”); mentre la sorella del Cadavere (la Figlia) rincorre in modo sempre più cieco il suo miraggio di una vita nuova, in un luogo lontano, al mare. Oltre al sogno della Figlia, continui sono i pensieri al mondo che c’è al di fuori dalla scena presa in esame: dai discorsi dei personaggi in scena si percepisce l’esistenza di un mondo esterno, come ad esempio il Vecchio, che nel testo di Camus era il custode dell’albergo, un’entità quasi onnisciente, in ‘E Ssanzare è una sorta di dirimpettaio curioso che restituisce la stessa sensazione di conoscenza assoluta.
Tutto sommato comunque quello che ne deriva è una tensione femminile sempre più alta, tra dispiacere, delusione, rabbia, recriminazioni, accuse, ricerca di un capro espiatorio, il tutto all’ombra del maschile.
LA TRILOGIA: LA FEMMINILITA’ IRRISOLTA
È difatti proprio la femminilità legata al maschio l’idea che muove la terza opera della trilogia, racconta il drammaturgo: «L’idea di sondare la tematica della femminilità irrisolta nasce dopo aver portato in scena Yerma (‘A Jetteca), la riscrittura di Garcia Lorca, testo incentrato sull’impossibilità della protagonista di essere madre. Fu uno spunto per ragionare sull’impossibilità che hanno i personaggi femminili di Lorca, l’impossibilità di un matrimonio, l’impossibilità di un figlio (nel caso di Yerma), l’impossibilità di esprimere la sessualità e la femminilità. L’anno successivo stavo lavorando a Le Serve di Jean Genet, per ‘E Cammarere e dopo aver letto il saggio di Sartre su Genet, che inizialmente Le Serve erano state pensate per due uomini, ho cercato di legare “le serve” al “femminello” della cultura napoletana. A questo punto, dopo una lunga chiacchierata con il mio costumista Rosario Martone, ci rendemmo conto che anche con Le Serve stavamo toccando l’impossibilità dell’essere donna, quindi una femminilità irrisolta. Così iniziai a pensare all’idea di fare un terzo e concludere con una trilogia. L’obiettivo era riuscire a fare una trilogia toccando tre autori completamente diversi del ‘900, quindi è stata una sfida su vari piani. Cercando un altro testo che potesse avere all’interno, oppure ricordarmi, la femminilità irrisolta, l’ho ritrovata in Camus, ne Il Malinteso. Nonostante queste tre differenze ho cercato di muovermi sul filo logico della femminilità: in Yerma ho toccato l’impossibilità di avere un figlio, quindi una donna madre; con ‘E Cammarere ho toccato l’essere femmina che i due personaggi vedono attraverso la padrona, la padrona quindi come essenza della femminilità; l’ultimo tema era la donna nella società, l’importanza, in un certo senso, di avere un uomo come immagine di completezza per la società, quindi l’immagine dell’uomo come completamento, sia per una madre, sia per una sorella, sia per una moglie.»
LA RICERCA – UNO SPETTACOLO SCRITTO IN VERSI, IN RIMA BACIATA
Il lavoro di Fabio è dunque un bellissimo lavoro di studio, di ricerca, e solo dopo di scrittura. “Ricerca” come valore, come amore per il dettaglio, come osservazione, come attesa, nulla è lasciato al caso, nemmeno la forma, che anzi viene levigata fino a trovare quella che sappia rappresentare al meglio la sostanza, quindi ricerca di modi di dire, di filastrocche, di parole belle, forti, una sorta di taglia e cuci per giungere al risultato perfetto. A tal proposito Fabio più che uno scrittore si definisce in primis un sarto. Sulla parola in sé, l’artista sperimenta un linguaggio che unisce parola e suono: il verso. ‘E Ssanzare è uno spettacolo scritto in versi, in rima baciata, formula antica capace di creare un ritmo che si pianta in testa e scava ancora più a fondo, universalizzando ancora di più le tematiche.
Racconta Fabio «Tutti i miei personaggi sono degli assoluti, non hanno un’identità. Per me dare un nome e un cognome ad un personaggio è portarlo a terra, renderlo quotidiano, reale, anche in ‘E Ssanzare c’è la Madre e la Figlia, i personaggi non si chiamano mai per nome. Mi piace creare una sorta di contemporaneità sospesa. Ci sono delle parole moderne e grazie alle scenografie e agli oggetti moderni si viene riportati al presente, ma mi piace creare con la parola arcaica un contrasto, che poi è una fusione di due mondi e questa fusione fa sì che si crei una sospensione temporale. Per questo concetto il verso funziona tantissimo. Talvolta la versificazione la scrivo in rima baciata anziché alternata, perché la rima baciata mi permette di creare una sorta di musicalità che aiuta a creare, appunto, sospensione temporale e poi anche perché l’idea di armonia e di bellezza mi piace tantissimo.»
L’ESPERIENZA AL NAPOLI TEATRO FESTIVAL
Esperimenti indubbiamente riusciti: ‘E Ssanzare ha registrato il tutto esaurito sia la sera della generale aperta al pubblico sia la sera del debutto, il pubblico del Napoli Teatro Festival entusiasta e la Compagnia orgogliosa. «È stata la prima esperienza al Napoli Teatro Festival come Compagnia – racconta Maria Claudia – Né per me né per Francesca però è stata la prima esperienza da attrici perché eravamo già state scritturate in passato per esibirci in questa prestigiosa realtà, ma questa volta c’è stato un entusiasmo senza limiti: l’idea che ad una Compagnia così giovane come Ri.Te.Na. e soprattutto di nuova fondazione, con appena un anno di vita durante il quale abbiamo fatto dei passi importanti, fosse stata data la possibilità di fare un passo ancora più importante, ci ha riempito di orgoglio. È stato emozionante sia a livello attoriale sia a livello professionistico. Una sfida bellissima, il NTF ti fa mettere in discussione di fronte ad un pubblico anche critico, è un’esposizione importante, quindi non sono mancate le ansie, le paure, la tensione che cresce fino al giorno del debutto e che si riversa anche all’interno del gruppo. Sembra che ad un certo punto ogni minima parola, valutazione, tutto possa diventare motivo di “esplosione”, ma fa parte del gioco, sono meccanismi sani, di crescita, di apprendimento, si impara a gestirsi sempre più».
LO STUDIO DEI PERSONAGGI
Ma a proposito di giovinezza e crescita, la giovane attrice Maria Claudia Pesapane in ‘E Ssanzare interpreta magistralmente il ruolo di una donna anziana, un’ottantenne. Per chi fa teatro di mestiere, un personaggio non è qualcosa da interpretare ma qualcuno da essere. Come è stato lo studio del personaggio “la Madre” per una ragazza di ventotto anni?
«Interpretare una donna di 80 anni non è semplice. Quando un giovane deve interpretare un personaggio ultraottantenne tende ad attingere allo stereotipo della vecchia/del vecchio. La Madre invece era un personaggio ben preciso, quindi il timore di finire nello stereotipo è stato per me un ostacolo incontrato fin da subito. Non è stato solo un problema di estetica, sicuramente il trucco, il costume aiuta il pubblico a poter entrare in questo gioco con me e leggere il meno possibile la mia giovane età, ma perché il personaggio sia credibile, per il pubblico e per l’attore, c’è bisogno che ci sia un’adesione anche interna, sentirsi vecchi dentro, negli atteggiamenti, sentirsi stanchi in tutto il percorso che fa il personaggio in scena ma anche fuori dalla scena. Mi sono avvicinata lentamente a questo personaggio, tutt’ora non posso dire di averlo del tutto trovato, scoperto.
Nello specifico, nello studio de La Madre mi sono molto ispirata alla nonna di Fabio, che è stata anche la musa dello stesso Fabio proprio nella scrittura del personaggio, lei è un’anziana donna attorno agli 83 anni con un andamento particolare, si muove appoggiata sempre ad un bastone, ma questo bastone per lei non è indispensabile. Questa è stata la prima sperimentazione del corpo che ho fatto, per decidere alla fine che il bastone anche per me era un appoggio, ma soprattutto psicologico. Il lavoro sulla voce anche è stato complesso, trovare la giusta voce, mantenerla per l’intero spettacolo, cercare di invecchiare la mia voce naturale rendendola veritiera ed evitando di scimmiottare la voce da vecchia, è stato il gioco più interessante per me da attrice, non so se ci sono riuscita ma sicuramente ci ho provato tanto. Poi ho lavorato molto sulla stanchezza, sul fare le cose lente, su un continuo parlottare in mente, non abbandonare mai il pensiero, chiacchierare con me stessa, trovarmi scuse, capire quale era il mio centro. Il mio personaggio è molto confuso, una confusione intesa come confusione della persona: essendo un malinteso all’esterno, in realtà il malinteso si vive anche all’interno, lei stessa non sa qual è la verità. Ho affrontato il personaggio io stessa confusa.
Ci ho messo tanto di mio, ma in maniera molto inconscia. Mentre per altri personaggi mi sono aggrappata ad episodi della mia vita che mi aiutavano a trovare verità nelle azioni sceniche che appartenevano al personaggio, qui non c’erano reali episodi della mia vita che mi permettevano di accostarmi alle azioni sceniche del personaggio, quindi è stato un metterci le mie emozioni in maniera spontanea ma non pensata, non decisa: spontaneamente il mio corpo stando in quelle posizioni, in quelle azioni, in quei pensieri, ha colto delle emozioni che sicuramente fanno parte della mia vita.»
Invece d’altro canto c’è la Figlia alla quale dà vita la talentuosa Francesca Morgante che del suo personaggio racconta: «‘E Ssanzare è stata un’esperienza particolare, sia perché è stato il nostro debutto come Compagnia al NTF, sia per il momento di crescita che ha rappresentato. Qui l’esplorazione ha preso una strada evidentemente diversa fino a farmi pensare al mio personaggio come ad una bambina diventata da subito fin troppo adulta probabilmente, con la speranza di gustarsi un gioco che le circostanze in un modo o nell’altro proibiscono. Una donna figlia, ma amante mancata, mortificata nel corpo e imbruttita, cosa che mi piace tantissimo e trovo interessantissima da un punto di vista attoriale, oltre alla vocalità con cui mi piace giocare.»
Mentre il Cadavere, a cui dà corpo Luca Lombardi, risulta essere il personaggio più presente eppure paradossalmente è il più “assente”, poiché nella porzione di testo presa in esame da Fabio Di Gesto per ‘E Ssanzare lui, il figlio, è già morto. La bravura dell’attore fa sembrare il corpo del suo personaggio quasi un manichino, affronta l’intera messa in scena ad occhi chiusi tenendo a bada la tensione muscolare di un vivo che deve perdere ogni tipo di tensione viva poiché morto. «È stata un’esperienza molto particolare, faticosa. Ho cercato di trovare tutto quanto immedesimandomi dalla prima prova per riuscire ad abituarmi il più presto possibile alla situazione», spiega Luca, «Partecipare al Napoli Teatro Festival per me è stata la prima volta, è stato molto emozionante, importante, e sicuramente ne avrò un bellissimo ricordo».
RI.TE.NA. TEATRO, LA COMPAGNIA – LA DIVERSITA’ CHE UNISCE
Ri.Te.Na. teatro è una compagnia fondata da Maria Claudia Pesapane, Francesca Morgante, Fabio Di Gesto, per un’esigenza comune: mettere insieme le energie artistiche. Sono una vera e propria squadra, giovani che si sostengono a vicenda poiché ognuno di loro ha dei compiti che non si limitano ai soli ruoli attoriali o artistici ma loro stessi si occupano degli aspetti organizzativi, amministrativi, sono pronti su tanti fronti. Vite diverse e background differenti, sia in quanto a percorsi di avvicinamento al teatro, Maria Claudia diplomata all’Accademia del teatro Bellini, Francesca si è formata al teatro Elicantropo diretto da Carlo Cerciello e attraverso svariati workshop formativi, Fabio ha arricchito il suo talento naturale con dei workshop e con esperienze sul campo come assistente alla regia di De Simone; sia in quanto a storie di vita «io sono cresciuta in un ambiente un po’ più borghese – racconta Maria Claudia – rispetto a Fabio che è cresciuto in un territorio napoletano, nella Napoli “vecchia”, io ad esempio non sono abituata a parlare in dialetto, Fabio invece è un cultore del dialetto napoletano».
Quindi diversità che unisce, che crea novità e affinità: ciò che li accomuna fortemente è il valore che danno al mondo dell’arte. «L’arte per noi – continua Maria Claudia – è un’esigenza primaria ed è un’esigenza, appunto, non un’esibizione, tra di noi non c’è competizione, non c’è tutto ciò che io definisco “marcio” nel mondo dell’arte, e per noi non è un bisogno di farsi vedere, ma è proprio un’esigenza che parte dall’interno, una voglia di raccontare attraverso l’arte noi, il mondo, le storie, le dimensioni, una voglia di mettere la propria anima in quello che si fa, c’è amore, passione, forse perché ci appartengono, forse perché non ci appartengono, ma sicuramente ci riconosciamo in loro.
Una persona che ci ha sempre accompagnato in questo viaggio è Rosario Martone. Rosario è il nostro costumista e truccatore di scena, fa un lavoro immenso, è una delle nostre perle, il suo lavoro è minuzioso, preciso, lui soprattutto è un artista di cui ci si può fidare ciecamente, Fabio come regista cede totalmente la “palla artistica” su costume e trucco a Rosario e Rosario riesce esattamente ad entrare in empatia con lui e a comprendere di cosa ha bisogno e a non deluderlo mai e a non deludersi mai. C’è un’affinità artistica fondamentale. Da poco in “casa RI.Te.Na.” è entrata a farne parte Flavia Tartaglia, fotografa professionista il cui lavoro ci rispecchia appieno. Una buona foto, per quanto mi riguarda, può esprimere tantissimo e rilasciare a chi riceve quel materiale una sensazione innanzitutto di organizzazione, di regime, di presentazione, e sicuramente questo racconta che all’interno del gruppo ogni figura ha il suo ruolo e sa fare il suo lavoro a prescindere da se piace o meno, ma almeno lo spettacolo risulta essere ricercato in ogni particolare.»
Una Compagnia che sa che l’arte è un mestiere non un gioco e che proprio per questo sa dare importanza al divertimento, «Se devo pensare ad un aneddoto – racconta Francesca – oltre le ore di lavoro e le energie profuse tutti insieme, tra momenti di pausa e prove, ripenso ad un episodio che mi ha fatto un sacco ridere! In ‘E Ssanzare c’è una scena in cui c’è un lancio di spaghetti cotti, una sera in prova erano particolarmente compatti e il lancio ci ha fatto dubitare che avessero raggiunto qualche passante in strada, considerando che proviamo all’aperto. Ricordo le facce di Maria Claudia, Luca e Fabio, le nostre risate e ancora rido.»
La Compagnia Ri.Te.Na. dà appuntamento il 24 luglio con ‘E Cammarere, a Palazzo Lancellotti, Casalnuovo di Napoli, ore 21; il 2 agosto con Io Sono Plurale, a Palazzo Pignatelli Lauro, Lauro (AV), all’interno del Festival Mamm ‘e ll’Art, ore 21; per poi ritornare in autunno con tante sorprese.
[…] Si capitate dint’ ‘e mmane sbagliate
Stai dint’ ‘a tana d’ ‘e ssanzare
Dint’ ‘a casa d’ ‘e bbestie
Adint’ ‘o vico me chiammene
diavulo cu’ ‘a veste […]
[articolo di Magdalena Sanges]