Intervista a tre band: Incomprensibile FC, Sula Ventrebianco e Sica
Articolo di DAVIDE SASSO
Il 22 aprile l’Ikebana Records in collaborazione con il colletivo NaDir, ha deciso di festeggiare il suo terzo anniversario presso lo Scugnizzo Liberato, lo spazio liberato sito in Salita Pontecorvo 44. Sebbene si tratti del secondo evento organizzato seguendo il format dell’Ikebana Fest, le sorprese non sono mancate.
L’Ikebana Fest 2016 ha visto salire sul palco tre band provenienti dal loro vivaio: Incomprensibile FC, Sula Ventrebianco e Sica. Assenti, purtroppo, i Phantorama che non hanno potuto prendere parte alla serata per problemi tecnici. Se a un qualunque ascoltatore fosse passato per la testa di aprire Spotify e dare un’occhiata ai brani dei gruppi sopra citati, avrebbe sicuramente trovato almeno un genere a lui vicino.
La serata è stata aperta dagli Incomprensibile FC con il loro rock step, seguiti subito dopo dal rock alternativo dei Sula Ventrebianco che in conclusione, hanno lasciato spazio ai Sica ed alla loro dance entertainment. Prima dell’inizio del concerto siamo riusciti a strappare qualche domanda ai tre gruppi.
Avete definito la vostra musica “dance entertainment”. Da cosa nasce questo genere?
L’idea è nata in sala prove da una jam. Gli amici di zona che si incontrano per suonare insieme. Dopo un paio di prove ci siamo accorti che poteva funzionare – ovvero – fare musica elettronica da discoteca mista a rock e suonata con strumenti tradizionali: chitarra, basso e batteria. Nulla di nuovo. Anche perché il dance ha una sua storia abbastanza ampia.
Noi volevamo rendere il tutto un po’ più “tamarro”, più anni ’80/’90. Ci siamo ritrovati subito bene con i componenti giusti, ed è andata così. Questa etichetta di “dance entertainment” ce la siamo data poi col tempo…
Il vostro ultimo album si chiama The party starts here. Da cosa nasce questo album? Cosa volete proporre?
E’ stato un album parecchio complicato, dal punto di vista delle tempistiche e dall’idea di partenza.
Dopo essere entrati a far parte dell’Ikebana Records abbiamo deciso di FARE IL DISCO – e farlo uscire in tempi brevi. E’ stata una corsa contro il tempo: ci siamo concentrati nel nostro nuovo studio e abbiamo unito canzoni del vecchio EP con altre in composizione, ed e’ uscito fuori un album di 11 pezzi: 10 + 1 remix.
La tematica è quella principalmente di una festa, più che altro proposta durante il live. Il disco risulta essere più pop rispetto alla resa dal vivo. Il live è proprio un muro di suono che ti arriva in faccia e riesce a rendere al meglio l’idea di festa, che avevamo in mente.
Dance Entertainment che si può tradurre in un unico termine: Party.
Quali sono le vostre influenze?
Ogni membro del gruppo arriva da diversi generi musicali. Il percussionista, Luca, faceva parte di una band free jazz, io arrivo più da una scena hard rock, ma ho sempre ascoltato ogni tipo di musica. Il chitarrista non aveva nessun gruppo. Il cantante e il bassista suonavano in una band mezzo comica. Le influenze sono svariate e infine, si sono unite insieme.
Luca Vicini ha prodotto il vostro album. Cosa vi ha dato questa collaborazione?
Abbiamo conosciuto Luca 3 anni fa, attraverso un concorso che abbiamo vinto. Lui era in giuria e ha scelto noi come vincitori. Il premio era registrare un singolo con lui e così abbiamo deciso di registrare un nostro vecchio pezzo, Mister Colabroda. Da lì ci siamo trovati bene, perché comunque è una persona corretta e soprattutto, un amico. Da un punto di vista tecnico e musicale ci ha insegnato molto. Noi eravamo un po’ acerbi. Parecchio punk, anche nelle strutture. Lui ci ha dato una raddrizzata e ci ha permesso di comprendere tante cose… No che non ci piaccia il punk – ma ci ha fatto capire come potevamo far suonare meglio alcuni strumenti o l’approccio che dovevamo avere con una produzione musicale. Quindi, dopo aver registrato con lui il primo EP, abbiamo scelto di nuovo lui per l’album, perché ci sembrava opportuno concludere questo percorso artistico.
Avete creato questo format: il Sica Party. Cos’ha la vostra esibizione in più, rispetto agli altri live?
E’ più di un anno che proponiamo questo format che sostanzialmente, è una festa. Il Sica Party racchiude sia un concerto con sfumature Rock, Dance, Techno, Metal o hip hop – un mescuglio che dia la forza alla gente di seguire un concerto senza stare fermi a guardare il gruppo; cerchiamo di dare la possibilità di interagire con noi. Questa è una cosa che sta scemando nel mondo della musica, soprattutto con le rock band che per mancanza di originalità, molte volte non riescono a trasmettere nulla di davvero forte. E allora visto che siamo seguaci del mondo della musica e dei concerti, guardandoci attorno ci siamo detti: a noi piace fare festa! Trasportiamo questa cosa sul palco e vediamo se la gente fa festa con noi!
E pare che la gente apprezzi – anche perché durante il concerto li facciamo bere… (ridiamo).
Avete suonato allo Sziget…
Abbiamo partecipato a un contest, l’Home Festival, al quale erano iscritte circa 800 band in tutta Italia. Fortunatamente abbiamo vinto e ci ha dato la possibilità di suonare allo Sziget e all’Home Sound di Treviso. Due festival parecchio grossi… Infatti siamo rimasti un po’ storditi.
Pensate sia possibile esportare all’estero il Sica Party?
Possiamo avere sicuramente un ascolto estero. Abbiamo fatto qualche concerto fuori. Svizzera, Germania, Budapest con lo Sziget, e abbiamo notato che la risposta è parecchio calorosa. Per alcuni aspetti anche più forte di alcuni paesi in cui abbiamo suonato qui in Italia. Vabbè, lì hanno una concezione abbastanza diversa della musica e dei concerti.
Cosa ne pensate di Napoli? E’ la prima volta che venite qui?
Le mie origini sono campane, tutti gli altri membri della band invece, arrivano da altre parti. Siamo contenti perché volevamo venire a suonare al sud, siamo sempre tra Nord e Centro. Non riusciamo mai a scendere, quasi come se ci fosse un recinto elettrificato che se lo tocchi, ti becchi la scossa.
Prossime tappe?
Domani ci aspetta Avellino, e per il prossimo weekend saremo a Padova, Perugia e Trento.
Lasciato Bart, siamo riusciti a strappare qualche dichiarazione fugace anche al chitarrista dei Sula Ventrebianco, Giuseppe Cataldo, sui loro progetti futuri. Nel corso della chiacchierata si sono uniti a lui anche gli altri componenti della band, Mirko Grande e Aldo Canditone.
Siete già a lavoro per qualcosa di nuovo?
Si siamo in studio a lavorare per il nuovo disco.
Rispetto all’ultimo album Furente, già notate qualcosa di diverso?
Io penso che si sia partito da una base buttata giù su Furente, perché un filone lo vediamo, però è sicuramente diverso. Ci sono più sfumature provenienti da diverse influenze. Anche cose che magari apparentemente non ci hanno mai toccato. Tipo il Country, l’elettronica un po’ più psichedelica – quindi stiamo giusto verificando queste cose.
Stasera siete la punta di diamante. Come vivete la cosa?
C’è partecipazione da parte dei fan: l’accoglienza è più calorosa e questo non può farci che piacere. Comunque sostanzialmente noi suoniamo per noi, e speriamo che a qualcuno possa piacere quello che facciamo. Ci sentiamo sempre uguali, ma ovviamente siamo in movimento.
Come essenza ci sentiamo sempre 4 irrequieti, 4 anime inquiete (risate).
Per quanto riguarda i concerti in acustico? Che risultati stanno dando?
Sicuramente, il discorso dell’acustico, aiuta non solo noi, ma tutti quei gruppi che insomma o sono troppo numerosi, o fanno troppo casino. Tre/quattro anni fa, quando ci proposero per la prima volta di fare un concerto acustico, noi non eravamo d’accordo. Non era proprio tra le nostre idee.
Però, spesso e volentieri, Sasio presenta le proprie idee al gruppo facendoci ascoltare delle bozze con voce e chitarra classica. Quindi abbiamo pensato… Perché no?
Di fatto, quel che ne è venuto fuori, è una cosa davvero interessante.
I nostri spettacoli in acustico comprendono brani che non realizziamo in elettrico; quindi, sostanzialmente, chi viene a vedere lo spettacolo acustico, viene a vedere uno spettacolo completamente diverso – anche per contenuti. E per fortuna la gente lo apprezza.
Prima ci chiedono “ma quando fate l’elettrico?” poi quando abbiamo finito il concerto ci chiedono “ma quando rifate l’acustico?” Durante queste serate poniamo molta più enfasi su archi, tastiere e piano.
(A questo punto siamo stati raggiunti anche da Mirko ed Aldo)
Su Facebook avete anche un vostro Fan Club. Che ne pensate?
(Ridono)
Mirko: Noi viviamo il tutto in maniera molto tranquilla. Anche perché non li chiamerei fan. Sono amici, con i quali siamo in contatto e ci fa piacere che ci seguano. Aldilà del gruppo, c’è un rapporto di stima reciproca.
Tempistiche per il nuovo album?
Aldo: Intorno a Gennaio.
Innovazioni? Novità?
Giuseppe: Non lo sappiamo perché siamo ancora in una fase embrionale. Ci sono le strutture complete di alcuni nuovi brani, ma li stiamo ancora eseguendo solo noi quattro.
Aldo: in realtà ci sono tante idee, ma bisogna anche semplificare. Nelle prove escono anche proposte come di un terzo chitarrista (risate), però è tutto da vedere.
Dopo i Sula, siamo riusciti a disturbare anche gli Incomprensibile Fc, intenti a cenare. Tra un boccone e l’altro, gli abbiamo strappato qualche risposta.
Il 30 novembre è uscito il vostro primo album sotto l’Ikebana Records. Cosa è cambiato dal primo EP registrato 3 anni fa, a questo ultimo lavoro?
Yuma: C’è stato un cambiamento nella formazione è arrivato Sly, in arte Silvio (ridiamo). Che ha portato la vena Blues “Hendrixiana”, che prima mancava.
Ana: Dovete sapere che Silvio ha preso lezioni proprio da Jimi Hendrix.
Yuma: Uno dei pochi. E non se ne vanta. Resta di indole abbastanza umile.
(Risate)
Yuma: E quindi il gruppo ha preso questa piega hard-rock/blues mista alla psichedelia…
Ana: Io cerco di metterci quanto più Hip Hop è possibile…
Ma prima eravate solo in due? Ana e Yuma?
Ana: No, prima c’erano un altro bassista e chitarrista. Abbiamo asciugato un po’ la formazione e abbiamo deciso di rimanere un trio.
Yuma: Questo è successo nel bel mezzo della registrazione dell’album con l’Ikebana. Quindi ci ha fatto un attimo ritardare; ma siamo anche maturati su altre cose a cui prima davamo poca importanza.
Scusate ragazzi, ma “FC” sta per…?
Ana: Football club, Fight Club… (Ancora risate)
Yuma: Qualcuno ha affermato che FC, stia per Fuori Campo. E’ bella anche questa versione…
Ana: Incomprensibile FC nasce da una partita di calcio alla Play Station… Una partita un po’ svarionata. Ad un certo punto ho detto “Cavoli, Incomprensibile FC”, perché la squadra non rispondeva ai comandi. Ci piaceva il nome e ci siamo detti: “perchè non fare un gruppo?”. E così è stato.
Volendo il tutto può essere ricondotto anche al mix di generi che riproduciamo, che chi ci ascolta arriva a dire “oh ma questi che ca*** di musica fanno?”
Il vostro genere musicale è il Rock Step. Da dove nasce?
Ana: Se senti i primi lavori sono un po’ più sul rock. La matrice elettronica c’è sempre stata. Le produzioni si basavano su quello, ma lo stampo era un po’ più rock. Poi abbiamo introdotto un’elettronica “più pesante”. Tipo come nel nostro brano Bagni Pubblici – i suoni sono un po’ diversi. Poi, poco alla volta, ci siamo evoluti e abbiamo cercato di ricreare quello che avevamo nella testa.
La nascita del gruppo? Dove è nato tutto?
Ana e Yuma: Dallo svarione.. Dal caso! (Ridono)
Ana: Yuma è venuto a Torino. Abbiamo detto “dai facciamo un pezzo”. E da lì è nato tutto.
Sly lo avete trovato sugli annunci?
Ana: Si sugli annunci “Cerco casa, no perditempo”. E ci è andata bene perché è stato il primo chitarrista che abbiamo provato!
(Parte dell’intervista manca, perché censurata)
Rapporto con le altre band di stasera?
Ana: Abbiamo già suonato con i Sula, quando è uscito l’EP. In realtà sono stati loro che ci hanno fatto conoscere l’Ikebana Records. Il bassista che suonava con noi, invece, è un amico dei Sica, quindi ci si conosceva già.
Qual’è stato l’apporto che ogni membro della band ha dato al sound finale del disco?
Yuma: Abbiamo tre gusti differenti. Ana rappresenta la parte elettronica/hip-hop. Io sono più legato agli anni novanta. E Sly, che ha studiato jazz e blues, è il virtuoso della band.
Sly: Si, io ora mi sto infognando con Yuma.
(Ridono)
Cosa portate di nuovo nel panorama musicale italiano?
Ana: (tra un boccone e l’altro) cerchiamo di conciliare le nostre esperienze musicali, che in sostanza sono abbastanza diverse. Riuscire a metterle insieme e ricreare qualcosa che abbia comunque un’unità. Dal blues, all’hip-hop.
Sly: Cercando di far cogliere al pubblico le affinità che abbiamo trovato tra questi vari generi.
Ana: Si, alla base di quello che facciamo c’è la sperimentazione.
Avete collaborato con tantissimi artisti. Chi vi è rimasto più nel cuore?
Ana: Io sono molto felice della collaborazione con Dj Slait della Machete Production.
Sly: Si anche per me.
Ana: A me piacciono tanto gli scratch. Sto imparando a farli, ma non ce la faccio ancora… Quindi lavorare con Dj Slait che è bravissimo a scratchare e che comunque è un grande artista, ci ha fatto molto piacere.
L’impatto con Napoli com’è stato?
Sly: Io un po’ teso per il traffico.
(Ridiamo)
Yuma: E’ stata una bella prima prova. Per me è una bellissima esperienza perché io amo Napoli. Stasera abbiamo potuto ammirare dal tetto di questo edificio (lo Scugnizzo Liberato) una vista spettacolare. La gente è sempre de’ core, viva mentalmente. Sempre vivace e con tanta voglia di fare.
Pensate si possa esportare la vostra musica all’estero?
Yuma: Forse cambiando il linguaggio.
Ana: Ci sono anche pezzi strumentali, quindi chissà.
Progetti futuri?
L’obbiettivo è suonare il più possibile, ma stiamo già lavorando a qualcosa di nuovo.
[di Davide Sasso]