Tutte le forme viste, conosciute, riconoscibili… dimenticatele, ed entrate così nel mondo mentale ed artistico del padre dell’astrattismo: Vasilij Kandinskij.
In particolar modo ne “Lo spirituale nell’arte”, titolo immediatamente esplicativo, il pittore moscovita esprime le sue riflessioni circa quello che sarà il suo peculiare modo di fare arte, nella pubblicazione editoriale scrive “[…] in generale il colore è un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima”. Difatti per Kandinskij è la musica l’arte perfetta, quella pratica che non essendo imitazione della natura, non rappresentando nessun oggetto fisico, può dare vita alla spiritualità, è dunque pura espressione di esigenze interiori, dà voce alla vita psichica dell’artista. Allo stesso modo la pittura, con il solo impiego dei colori, deve essere sempre più simile alla musica, i colori assimilarsi ai suoni.
Il 1910 vede la nascita del suo primo acquerello astratto, da quel momento in poi sarà sempre più difficile trovare nei capolavori di Kandinskij forme note, niente di conosciuto e conoscibile dunque, mentre assumeranno sempre più rilevanza accostamenti di colore che procureranno una ‘festa’ per gli occhi e trasmetteranno sensazioni emotive, quasi fisiche, come se la vera ‘forma’ dell’opera d’arte si componesse dall’interno dell’autore direttamente all’interno del fruitore. “[…]il rosso cinabro attrae ed eccita come la fiamma, che ha sempre affascinato l’uomo. Il giallo-limone squillante ferisce a lungo l’occhio, come un acuto squillo di tromba ferisce l’orecchio. L’occhio diventa irrequieto, non riesce a fissarlo e cerca profondità o riposo nel blu o nel verde […]. La vocazione alla profondità del blu è così forte, più il blu è profondo più richiama l’idea di infinito, suscitando la nostalgia della purezza e del soprannaturale. Se precipita nel nero acquista una nota di tristezza struggente […]”.
“Vasilij Kandinskij. La collezione del Centre Pompidou” è il titolo della mostra fruibile ancora fino al 27 aprile presso Palazzo Reale, Milano, e che racconta tutte le tappe esistenziali, mentali ed artistiche dell’eclettico pittore, pur essendosi laureato in Giurisprudenza e dedicato poi a numerosi campi, dalla musica al teatro. La mostra, che conta l’esposizione di più di 80 opere,
illustra l’opera di Kandinskij attraverso l’approfondimento della sua vita, come i suoi viaggi, esperienze particolarmente rilevanti per la sua formazione nonché rivoluzione sia spirituale che professionale: da Mosca fu a Monaco dove entrò in contatto con numerosi pittori, poeti, critici d’arte, musicisti; ormai famoso, tornò nuovamente in Russia; successivamente fu in Germania nella quale, divenuto professore al Bauhaus di Weimar, diresse un laboratorio di pittura parietale e dalla quale non farà più ritorno in patria; infine a Parigi dove visse gli ultimi decenni della sua vita.
Difatti la grande retrospettiva monografica milanese è organizzata secondo un percorso cronologico diviso in 4 sezioni: A Monaco: 1896-1914; Di nuovo in Russia: 1914-1921; Gli anni del Bauhaus: 1921-1933; Parigi: 1933-1944; sezioni introdotte da un allestimento che immerge i visitatori da subito in un ambiente totalmente artistico, dunque di suggestivo impatto: è una sala di pitture parietali.
Nel segno della ‘suggestione’ dal 4 aprile alla fine dell’evento, la mostra rimarrà aperta anche il venerdì sera e fino alle 22.30.